sabato 29 dicembre 2012

LA LIBRERIA VERONI


Chissà se vale ancora scrivere il proprio ricordo sulla libreria Veroni...        

Navigavo in internet e ho trovato questo articolo (
«È stato come assistere al mio funerale») che  parla della sua chiusura.  

Eh, sì, io di ricordi ne ho davvero tanti e piuttosto singolari! Singolari, sì, perché io non sono stata una cliente come le altre.        
Il mio nome? Laura Veroni, nipote dei signori Aldo e Luigi, figlia di Edmondo, uno dei tre fratelli fondatori.
I miei ricordi risalgono alle origini della libreria e anche prima, quando mio padre e gli zii lavoravano nel magazzino di Via Maspero, a Giubiano, e vendevano all'ingrosso. All'epoca, ero una bambina che frequentava la scuola elementare.  
Ricordo i sabati pomeriggio trascorsi con mio padre nel grande magazzino col pavimento piastrellato di grandi mattonelle color mattone e infiniti scaffali metallici, ricolmi di libri di ogni tipo e di ogni dimensione. C'era odore di carta.
Mi piaceva giocare, in attesa della chiusura, percorrendo i corridoi, fino in fondo allo stabile, che terminavano sempre nella penombra, laddove le luci al neon non venivano praticamente quasi mai accese. Facevo finta di essere una commessa e giocavo a vendere i libri. Immaginavo i clienti che venivano a chiedere consigli su quale libro acquistare e io leggevo la trama sul retro, per poi esporne il contenuto.     
A volte, mio padre mi consentiva di entrare in ufficio, dove, alla scrivania, c'era la segretaria (Pinuccia) che si occupava della contabilità. Quando non aveva troppo lavoro, mi faceva giocare con la calcolatrice e con la macchina da scrivere (mica c'erano i computer, come oggi!). Mi affascinava quel mondo fatto di carta e pensavo che da grande avrei fatto la segretaria personale di mio padre e la commessa nel suo magazzino.
Poi, sorpresa delle sorprese, l'apertura della Libreria in Piazza Giovine Italia. Una sola parola per definirla: BELLISSIMA. Posizione centrale, dietro corso Matteotti, elegante e sobria nello stesso tempo: moquette sul pavimento, un grande banco centrale all'ingresso, scaffali eleganti (non metallici e freddi come quelli del magazzino), una vetrina bene allestita. La scolastica al piano di sotto, l'ufficio del babbo e degli zii in una stanza in fondo al piano principale. Un ufficio bello, con quadri alle pareti e fotografie di noi figlie. Non ricordo la mia, però. Ricordo invece le foto delle mie cugine, Gabriella e Antonella, vestite da ballerine di danza classica.
Non ero più una bambina, ma un'adolescente con tanti sogni in testa, che non aspirava più a fare la commessa o la segretaria del babbo, piuttosto la scrittrice. 
Immaginavo i miei libri esposti in vetrina e sugli scaffali.        
Passavo a far visita a mio padre (come se non lo vedessi abbastanza!), ogni volta che andavo in centro con le amiche. Era bello entrare e sentirsi a casa.        
"Ciao, ciao, ciao..." Salutavo tutti i commessi e le commesse, da Luisa a Marcello, da Anna 1 ad Anna 2, a Giuseppe, a Daniela, a Donatella, a Monica, a Lorella, a Roberto, a Marta, a Max... un bacio a mia cugina Antonella e poi in cerca del babbo, per sottrarlo ai clienti, ai conti, alle carte, e andare con lui a bere il caffè al bar del Pirola, il nostro appuntamento fisso del sabato pomeriggio. Poi lo riaccompagnavo in libreria, bacio all'ingresso, un saluto a tutti e "Ci vediamo più tardi a casa!".
Il momento in cui mi "divertivo" di più era quando arrivava Settembre e mi recavo in negozio a ritirare i libri per la scuola. C'era una coda infinita e io passavo davanti a tutti, che mi guardavano male, come a dire Ma guarda questa che arriva adesso e pensa di poter saltare la fila! Andavo dietro al bancone, nella zona riservata, ritiravo i libri, che mio padre aveva messo da parte, e uscivo col mio pacco sotto braccio.
Quando venne spostata in via Robbioni, non suscitò grande entusiasmo. Si pensava che la zona, non più centrale, avrebbe fatto calare le vendite e richiamato meno clienti, però era sulla via delle scuole e questo era un vantaggio, sicuramente nel periodo di Settembre/Ottobre. La clientela fissa e gli affezionati rimasero e continuarono a frequentarla anche lì. Fino al triste momento della chiusura, quella da mio zio definita il suo funerale.
Per me, la libreria Veroni è stata un po' una seconda casa, un luogo di affetti e di amicizie. Anch'io, quando mi capita di passarci davanti, provo un po' di tristezza nel vedere i locali vuoti, le vetrine spoglie e impolverate. Ma, se guardo attentamente, attraverso la polvere, posso ancora immaginare e sentir palpitare i ricordi di quel tempo passato che oramai non c'è più.

venerdì 21 dicembre 2012

BUON NATALE, RAGAZZI!


BUON NATALE, RAGAZZI!        
LETTERA AI MIEI ALUNNI COME LA SCRIVEREBBERO LORO,
CON GLI ARTICOLI DAVANTI AI NOMI



Non si è sentito parlare d'altro, in questi ultimi giorni, non si è letto che di questa fine del Mondo che sarebbe dovuta arrivare oggi.    
Non ci ho mai creduto, nemmeno per un istante.
A chi mi chiedeva "Ma tu non hai paura?" rispondevo semplicemente di no.        
"E se arrivasse davvero?"       
"Pazienza! Tanto, che cosa ci potrei fare? Nulla. Quindi..."      
Ieri il Gabbo mi ha detto: "Prof, io ho solo quindici anni. Se il mondo dovesse finire domani, mi dispiacerebbe. Ho ancora tante cose da fare."     
Eh, come darti torto, Gabbo?   
Ho solo cinquant'anni, ma anche io avrei tante cose ancora da fare...       
Mi è venuto in mente mio padre, al termine della sua vita, quando, consapevole della fine, mi ha detto: "Ho ancora così tante cose da fare... Io non voglio morire."   
Aveva sessantotto anni.
E così, ho capito che non c'è un'età per morire, non è mai ora, perché tutti noi avremmo comunque ancora tante cose da fare.        
A volte, ci sono momenti di difficoltà e di sconforto tali, nella vita di alcune persone, che la morte può sembrare un pensiero addirittura desiderabile, ma poi, quando il sole torna a splendere di nuovo, il pensiero svanisce, evapora da sé.
Ieri ho provato a pensarci e mi sono chiesta: "Che cosa mi mancherebbe, se il Mondo dovesse finire domani?".   
Beh, forse non ci crederete, ma ci siete anche voi.        
Eh, sì!... I miei figli in cima alla lista, naturalmente, ma, tra le altre "cose" importanti, ci siete voi. Tutti quanti, sì, perché voi siete i MIEI RAGAZZI. 
Ma vi rendete conto delle cose che abbiamo vissuto insieme in questi due anni e mezzo di scuola? Io vi ho visti crescere, vi ho presi piccoli, bambini, appena usciti dalla primaria e, tra pochi mesi, vi lascerò più grandi in tutti i sensi.
Ricordo il primo giorno di scuola della media... paurosi, smarriti, silenziosi, intimiditi dal nuovo ambiente e dai nuovi professori. Eravate ancora dei bambini. Oggi vi guardo e vi vedo adolescenti, in pieno fermento di crescita, alla ricerca della vostra identità, dell'autonomia, dell'affermazione di voi stessi nel mondo.  
Più alti, i visi da grandi, le voci cambiate, i corpi sbocciati, le menti più mature, ma sempre quella voglia di giocare e di scherzare che vi contraddistingue da quel primo giorno. Qualcuno sta ancora aspettando di crescere in altezza (non tutti i frutti maturano nello stesso momento), ma ci arriverà, quando meno se lo aspetta; qualcun altro gioca a fare il grande, ma poi si scopre ancora bambino, di fronte alle prove della vita.
Quasi tre anni insieme... quante cose ho potuto conoscere di voi, in tutto questo tempo! Ho potuto ridere delle vostre battute, mi sono arrabbiata per le distrazioni eccessive, mi sono commossa nel leggere i vostri temi e nello scoprire sentimenti ed  emozioni che vi contraddistinguono; abbiamo condiviso momenti di crescita importanti. I libri vi hanno aiutato a diventare più consapevoli di voi stessi e del mondo che vi circonda, ma, forse, più di quelli, hanno fatto tutti i nostri discorsi sulla vita.
Voi non avete idea che ricchezza sia stata per me avere vissuto questo tempo insieme.         
Si crede che la scuola faccia crescere solo gli studenti: io dico che fa crescere anche gli insegnanti. Non sono solo io che insegno a voi, siete anche voi che insegnate a me. Mi avete insegnato a capirvi, a comprendere il vostro vissuto, mi avete arricchita delle vostre emozioni e sono diventata una persona più grande anche io.         
Di anno in anno, mi rendo conto che prendo, assorbo un po' di ognuno di voi ragazzi e lo faccio mio. Mi porto a casa le vostre storie, le gioie e i dispiaceri che avete voluto condividere con me.        
Forse qualcuno potrebbe pensare che certi nostri discorsi siano una perdita di tempo...
Quante volte siamo partiti da un argomento di storia o di geografia o dalla lettura di un  brano dell'antologia e siamo finiti a parlare di tutt'altro? Mah, non le conto nemmeno più. Eppure anche quelle sono state lezioni importanti, insolite, magari, ma importanti.
E poi? Dove le mettiamo tutte le risate che ci siamo fatti insieme, alle uscite stravaganti di alcuni di voi?        
Prendiamo il Macri, ad esempio... Quanto tempo in chiacchiere ci ha fatto perdere?
Vogliamo parlare solo di ieri? Il peperoncino! E la preparazione del garage antizombie, perché i morti verranno sulla terra e i vivi sprofonderanno nell'inferno?        
Ma come faremmo senza il Macri?     
E il Simo? La sua risata cristallina e sguaiata, sanguigna! Il Simo che non capisce mai le battute, nemmeno quando gliele spieghi.      
E il Giamma con le sue barzellette, inventate lì per lì, che poi ride solo lui (e come se la ride!), vero, Scottex? Ma i tuoi fazzoletti, Giamma, scottex ancora? Eh, però, che bei temi da grande scrive quest'anno il Giamma! E non si direbbe mica, vero?     
E del Mastro? Cosa dire del Mastro, che sembrava così timoroso di esporsi, solo fino a un anno fa?         
Perché, scusate, il Pil del Monta, dove lo mettiamo? Colazione: biscotti e TG5! Intanto ci dà lezioni di economia e di giurisprudenza!      
Eh, be', poi ci sono le domande provocatorie della Tati, la new entry di quest'anno!
E i discorsi saggi del Gabbo sul senso della vita?

Ma passiamo dal giallo all'azzurro (voi avete capito di che cosa sto parlando)...  
Il Ross, la Maru e la Cami, i protagonisti principali della classe, chi in un modo, chi nell'altro.
Ross, dov'è il pesce gigante? Sotto il pavimento del bagno?   
Ross, cavolo, non sei venuto a scuola, stamattina! L'avevi detto, lo so, volevi morire a casa tua. Fregato! Il mondo è ancora qui. E così ti sei perso un film bellissimo, che ci siamo visti tutti insieme. E adesso? Una scusa per non fare il compito per le vacanze... Mannaggia, Ross!...   
E la vivacità della Maru? Una sola parola, per definirla: AIUTO.        
Beh, sull'azzurro avrei molte più cose da raccontare, perché lì c'è fermento quotidiano, e che fermento! Ma le lingue? Quando smetteranno di agitarsi così tanto?         
Ragazzi che fatica starvi dietro! Meno male adesso un po' di tregua (benedette vacanze di Natale!). Posso dire, senza timore di sbagliare, che siete la classe più casinista che abbia mai avuto in tutti questi anni di scuola.  
Come regalo, vorrei chiedere alle vostre famiglie di comprare un vagone di camomilla da farvi bere ogni mattina. Magari anche un po' di valeriana...         

Però ne abbiamo passate anche noi insieme, vero? Ma ve la ricordate l'esperienza dello scorso anno con la RAI? E chi se la può dimenticare! Siete stati grandi!               

Sapete qual è la cosa bella di voi due mie classi? Che vi siete fusi.   
Ahahahahahah!!! No, non i cervelli, raga (beh, oddio, magari anche quelli, a volte!), ma voi proprio!      
Dai, su, che avete capito! Simo, vero che l'hai capita anche tu? Ma come no? Dai, batti cinque!         
E' la prima volta che mi capita di avere due classi che non rivaleggiano tra loro, ma i cui componenti, che all'inizio non si conoscevano, come per incanto, all'improvviso solidarizzano e fanno gruppo. Addirittura i fidanzamenti!  
Chissà com'è nata questa cosa? Siete arrivati addirittura a preparare uno spettacolo teatrale in cui recitare insieme. Grandi!!! E' molto bella questa cosa, sapete? Davvero!

Ma com'è che abbiamo iniziato parlando della fine del Mondo e siamo arrivati qui?       
Eh, lo so: ridondanza procedurale! Le mie solite parentesi. Quante ne apro ogni mattina? Avete mai provato a contarle?
Ehi, Beri Beri, anche tu stamattina hai pensato di festeggiare la fine del mondo, non venendo a scuola? O hai dovuto riportare a casa tua zia?
Comunque, tornando alla fine, sapete qual è stata la frase più bella che ho sentito ieri? Quella del Simo.         
"Prof, se non dovessimo vederci più, si ricordi che LE VOGLIO BENE!"
Ed è con questa frase che mi piace concludere questa lunga (ma non troppo) lettera:
VI VOGLIO BENE ANCHE IO, RAGAZZI!

BUON NATALE A TUTTI VOI!

La vostra Prof!

lunedì 17 dicembre 2012

CLASSE F: Concerto del 15 Dicembre 2012



C = Claudio e Chiara
L = Laura/Lau
A = Alessandro/Ale
S/E = Serena/Ena
F = Filippo


Ringrazio la mia amica Grazia, per avermi inviato la foto del concerto di Sabato sera.


Nell'immagine: Filippo alla batteria, io al microfono, Alessandro alla tastiera.

Mancano gli altri componenti del gruppo, che cito di seguito:
Claudio alla chitarra elettrica, Chiara al basso e Serena (splendida voce e splendida presenza) al microfono.

Lo dico sempre: ragazzi, dobbiamo fare una foto tutti insieme!!!

A voi tutti BUON NATALE!


lunedì 10 dicembre 2012

VOLEVO SOLO ESSERE FELICE il libro

E' disponibile sul sito www.lulu.com il mio ultimo romanzo:



VOLEVO SOLO ESSERE FELICE

Se desiderate  vedere l'anteprima e acquistarlo, cliccate qui!


Un sentito GRAZIE a Claudio Ferrara per la copertina!

giovedì 6 dicembre 2012

PAZZI PER LA SCUOLA di Vittorio Lodolo D'Oria


Il dr. Vittorio Lodolo D’Oria – studioso del Disagio Mentale Professionale dei docenti – ha ultimato un testo dall’ambivalente titolo: “Pazzi per la scuola” (edizioni Alpes Italia). Il volume racchiude 125 tra storie e testimonianze che hanno avuto come protagonisti insegnanti con un disturbo psichiatrico. Vicende che hanno visto docenti psicotici che incomprensibilmente raggiungono la pensione per inerzia del loro dirigente scolastico; maestre affette da disturbo bipolare che picchiano i bimbi; professoresse ricoverate con trattamento sanitario obbligatorio, quindi trasferite per incompatibilità d’ufficio per una dozzina di volte; episodi di pianto collettivo tra gli alunni che manifestano enuresi diurna e notturna; genitori incapaci di agire se non avviando denunce legali; Collegio Medico di Verifica che assume provvedimenti non propriamente ortodossi; dirigenti scolastici che si improvvisano psichiatri; maestra con delirio paranoideo che denuncia i colleghi di volerla avvelenare e spiare attraverso cimici introdotte di nascosto sotto cute…Uno spaccato di vita scolastica – quello descritto dal professionista – derivato dall’esperienza ventennale: dapprima nella veste di medico della commissione per l’inabilità al lavoro, quindi come consulente del dirigente scolastico, infine come medico di parte del docente sottoposto ad accertamento sanitario. Ma anche un manuale – un vero e proprio vademecum contenente consigli e linee-guida su come comportarsi di fronte al burnout – per chi opera nella scuola a qualsiasi livello (genitori inclusi) per non rassegnarsi a leggere articoli di cronaca nera, subendone i fatti.Tornando ai dati UE del 2008 – aggiunge Lodolo D’Oria – le psicosi sono nell’ordine del 2,4% e del 12% i disturbi depressivi. Percentuali basse – si dirà – soprattutto nel primo caso, ma il dato complessivo diviene preoccupante se rapportato alla schiera di docenti italiani alle prese con i nostri figli. Su un milione di insegnanti, ve ne sarebbero almeno 24.000 psicotici e 120.000 depressi, per non parlare delle altre malattie mentali (disturbi dell’adattamento, disturbi di personalità etc).Chi insiste nel dire che gli insegnanti lavorano poco e fanno troppe ferie – conclude l’autore di Pazzi per la Scuola – legga il libro e riveda lo stereotipo sulla categoria professionale: più che di vacanza, parlerei di convalescenza.
(Tratto da: burnout.orizzonte scuola.it)

mercoledì 5 dicembre 2012

IL SITO DEL DOTTOR VITTORIO LODOLO D'ORIA

Invito insegnanti e non a visitare il sito del Dottor Lodolo D'Oria, Pazzi per la scuola.
Contiene  articoli molto interessanti.

OS BURNOUT il blog per docenti e dirigenti.

sabato 24 novembre 2012

Anteprima di VOLEVO SOLO ESSERE FELICE


I

Mi chiamo Sandra e oggi compio quarant'anni.
Mi sono svegliata con una consapevolezza tutta nuova, questa mattina. Quaranta! Fa quasi paura anche solo pronunciarlo! Mi è passata davanti tutta la mia vita, non appena ho acceso la luce. E allora mi sono detta che è giunto il momento di fare dei bilanci. Ecco, sì, da oggi comincerò a fare il bilancio della mia vita, di quella che sono stata finora e di quella che voglio essere da questo momento in poi. Sì, perché così non voglio essere più. Non sono felice. Mi sento depressa. Mi guardo attorno e mi chiedo a chi appartenga questa vita. Non la sento mia. Non l'ho mai sentita mia.
Ho una famiglia che, a detta di molti, è proprio una bella famiglia. 
Non so se ridere della falsità della gente o chiudermi in casa a piangere.
Ma ci vedono veramente per quelli che siamo? Mi domando. Non è possibile che non vedano la realtà.
Mio figlio è quello che si direbbe un ragazzo introverso, poco socievole, almeno così è con noi. Recentemente, ho scoperto che fuma erba. Non mi piace la gente che frequenta, anche se lui insiste nel dire che sono tutti bravi ragazzi. A scuola non va un granché bene, sembra non avere alcun interesse nella vita, a parte le ragazze e la discoteca.      
Mia figlia è bulimica, non ha amici, passa le giornate chiusa nella sua stanza a studiare e mangiare, un'asociale assoluta.        
Mio marito è un uomo burbero, che non dispensa sorrisi a nessuno, una sorta di padre padrone, come i vecchi capofamiglia di una volta. Ogni tanto beve, ma lo fa di nascosto. E' un uomo rigido e  pretende che tutto sia sotto il suo controllo e apparentemente perfetto, perché è quello che la gente deve credere: che siamo il prototipo della famiglia ideale, una sorta di Mulino Bianco di città. Crede che io non mi sia accorta del suo vizio. Invece l'ho capito dal suo umore altalenante, oltreché dall'odore di alcol che esce dalla sua bocca sempre più spesso, la sera, quando viene a letto. Mi sono chiesta perché lo faccia. Sono stata sul punto di chiederglielo più di una volta, ma non ci sono mai riuscita: ho paura di come potrebbe prenderla. Ho paura, sì. Mio marito mi incute timore da sempre. Ora che ci penso, avevo paura di lui anche prima di sposarlo. Ogni volta che si arrabbiava, il suo sguardo mi terrorizzava, gli occhi gli si cerchiavano di un colore livido, lo sguardo diventava truce, la fronte aggrottata, le labbra tirate, così sottili da scomparire dentro la bocca. Ancora oggi la sua faccia diventa così, quando è arrabbiato. La sua voce diventa tagliente, ispida come la sua barba, sempre incolta. Ma non è un uomo trascurato, no, per niente. Si tiene bene, gli piace essere ammirato per il suo stile, per la sua classe. Sembra un vero signore, in mezzo alla gente. Nessuno sospetterebbe mai quanto possa essere duro tra le mura domestiche.
Già, siamo proprio una famiglia perfetta, direi! Quella ideale, che ognuno vorrebbe avere.         
Come ingannano le apparenze, vero?         
Quando usciamo tutti insieme, la Domenica, per andare a messa, siamo sempre ben vestiti, ordinati, ben pettinati. Ce la faccio anche a truccarmi! Ci avviamo verso la Chiesa a piedi, col vestito della festa, mio marito quattro passi davanti a noi, mia figlia accanto a me, mio figlio dietro, perché si vergogna di essere costretto da suo padre ad andare ancora a messa a 17 anni.
Come se la funzione religiosa avesse una scadenza! Arrivi alla Cresima, poi basta, cosa continui ad andare in Chiesa a fare? Ti senti deriso dai tuoi coetanei che non ci vanno più.       
Ma Davide non si può ribellare, deve venire con noi, altrimenti suo padre troverà sicuramente una punizione adeguata, dopo, a casa.       
Glauco è un despota, ha le mani più veloci della lingua. Una volta ha mandato Davide al pronto soccorso. La dichiarazione? Nostro figlio è un ragazzo maldestro e distratto: è caduto dalle scale....
Io ho confermato: ho un figlio idiota, mi dispiace, che cosa ci posso fare?           
Elena è grassa. Si guarda allo specchio e se la prende con me: "Mamma, perché mi hai fatta così cicciona?"
Ma non è colpa mia: io non l'ho fatta così. Ha fatto tutto da sola. Elena non mangia. Non mangia con noi, voglio dire. Non si siede più a tavola insieme alla sua famiglia da diversi mesi, ormai. Svuota il frigo di notte. L'altro giorno ho trovato la pentola del risotto completamente svuotata: era rimasto solo qualche chicco sul fondo, appiccicato là. L'aveva mangiato durante la notte, così, rappreso e freddo. L'ho sentita vomitare a più riprese, poi rumore di cucchiaino che girava lo zucchero nella tazza e un limone mezzo spremuto, abbandonato come un relitto sul piano del lavello, rinvenuto la mattina seguente. Nemmeno si era presa la briga di liberarsi del cadavere. Probabilmente l'aveva fatto apposta: doveva farmi sapere che era stata male. La mia bambina...
Ne ho parlato col medico di base. Mi ha detto che si tratta di bulimia, come già avevo intuito. E' una vera e propria malattia, un disturbo alimentare piuttosto serio e letteralmente  significa fame da bue. Uno mangia di continuo, per riempire un vuoto che non è fisico, ma psicologico, di affetti. Eppure io amo mia figlia, darei la vita per lei! Non credo di averle mai fatto mancare il mio amore e penso di essere stata una buona madre. Ma evidentemente non è così. Oppure non è stato abbastanza.      
E di me, che cosa posso dire? Che donna sono? Io sono per tutti la moglie del professor Carraro. La moglie del professore, così mi chiamano, ovunque vada, quasi non abbia un'identità mia.
In realtà sono Sandra Molise, laureata in lettere moderne con centodieci e lode. Una laurea incorniciata e appesa al muro della mia camera da letto, in ricordo degli studi fatti, di anni di università e tasse pagate inutilmente. Un pezzo di carta appeso a una parete. Credevo che sarei diventata insegnante, grazie a quel pezzo di carta, invece... Mi sono sposata troppo presto, rimasta incinta di Davide a soli ventidue anni, e Glauco ha voluto che facessi la madre e basta. Come le donne di una volta. Che bisogno avevo di lavorare? C'era già lui, col suo stipendio e la modesta eredità ricevuta dai suoi, che bastava a mantenerci, a pagare il mutuo della casa. Stimatissimo professor Carraro... Non mi ha nemmeno lasciato fare il concorso, per provare ad ottenere l'abilitazione all'insegnamento! Che cosa te ne fai? Già, che cosa me ne sarei fatta? Forse, però, oggi sarei anch'io qualcuno, sarei la professoressa Molise, avrei un ruolo preciso in questa società, sarei una persona che produce, che lavora e non una donna insoddisfatta che elemosina l'attenzione del mondo e cerca di affermare se stessa, provando a scrivere libri, che puntualmente vengono respinti dalle case editrici. Una fallita, ecco quello che sono: solo una fallita. Quando vedo mio marito rientrare da scuola con i pacchi di compiti nella cartelletta blu (lui adora il blu, io invece  lo odio! E' un colore così cupo, così triste, così notturno!), provo un moto di invidia. Ci sono volte in cui, quando lui si sdraia sul divano a guardare la televisione, dopo pranzo, per riprendersi un po' dalla mattinata a scuola, tra gli schiamazzi degli studenti, vado nel suo studio e apro la cartelletta. Leggo i compiti. Mi piace scoprire i suoi ragazzi, attraverso i loro temi. Qualche volta, gli correggo anche alcuni compiti di grammatica. Provo un piacere intenso nell'annusare l'odore del foglio, dell'inchiostro della penna rossa. Passo il dito sul tratto grafico dell'alunno, per sentire sotto il polpastrello la forza del carattere, in base alla forza della "calcatura" della penna. Immagino che quei compiti siano miei, che miei siano gli studenti. Leggo i loro nomi sui fogli e cerco di immaginarmi le loro facce. A una certa Annalisa Roncato ho attribuito i capelli biondi, gli occhi azzurri, la carnagione chiara, un viso dai lineamenti dolci. Leggendo le sue composizioni, mi sono fatta un'idea della sua personalità fragile. Alla fine dell'anno, ho sempre l'impressione di conoscerli tutti. Quando poi lui porta a casa le foto di classe, cerco di individuare i singoli, attraverso l'idea che mi sono fatta di ognuno di loro.    
Chiedo spesso a mio marito di parlarmi del suo lavoro. Voglio sapere come si svolga, quale sia il suo rapporto con gli studenti, con i colleghi, col preside. Voglio sapere che cosa dice ai genitori, quando li convoca per discutere le problematiche didattico educative dei figli, quali consigli dia, perché li aiutino a superare le loro difficoltà. Mi scopro a prendermi a cuore la sorte di molti, immedesimandomi nelle loro storie.  
Quando sono in casa da sola, la mattina, mentre tutti sono a scuola, mi piace violare la privacy professionale di Glauco. Entro nella sua cartella lavoro e apro alcune delle sottocartelle, specialmente quelle delle relazioni sui singoli soggetti, a volte anche le programmazioni. Voglio immedesimarmi, sentirmi la prof che non sarò mai e capire anche lui. Già, capire mio marito, attraverso quello che scrive. Voglio conoscerlo come lo conoscono gli altri. Ma più lo leggo, più mi rendo conto di quanto sia freddo, rigido, congelato nel suo ruolo, senza un minimo di flessibilità mentale, esattamente come è a casa con noi. Glauco è proprio così, non c'è speranza che cambi. Come posso anche solo sperare che riesca a capire i suoi figli, la sua famiglia? Lui è al di sopra delle parti, si erge a giudice, a detentore di verità assolute. Immagino che i suoi alunni lo temano, esattamente come lo temiamo noi, che i colleghi lo rispettino per la sua meticolosità, per la preparazione, per la sua vasta cultura (Glauco conosce un sacco di cose, legge moltissimo, si interessa di tutto), ma che non lo trovino una persona gradevole. Al contrario, io credo che lo reputino un uomo noioso e pedante. Chissà se interviene durante le riunioni, sparando sentenze che odorano di verità assolute? Chissà se qualcuno osa contraddirlo? E Chissà come reagisce lui davanti alle obiezioni?      
A casa non è possibile farlo. Nessuno di noi osa. Basta un suo sguardo a zittirci. Glauco è quel tipo di uomo che esercita violenza psicologica su chi gli vive accanto. Mi chiedo se lo faccia consapevolmente o se sia una cosa istintiva la sua, ma, essendo lui un freddo, un cinico razionale calcolatore, credo che lo faccia consapevolmente. Gli piace esercitare il potere sugli altri.
Davide voleva la moto, diceva che gli sarebbe servita per essere più autonomo. Glauco gli ha risposto che non gli sarebbe servita, visto che c'è sua madre tutto il giorno a casa a far niente, che lo può accompagnare ovunque, senza bisogno di spendere soldi inutilmente per una moto, che poi è anche pericolosa. E come dargli torto? Una famiglia costa, tutto costa e un solo stipendio condiziona tutti a centellinare le spese, perché l'eredità dei suoi non si tocca, resta lì, serve per il mutuo della casa. Ma questo lo ha voluto lui. Se io avessi lavorato, il nostro tenore di vita sarebbe stato diverso, ci saremmo potuti concedere delle vacanze, come fanno quasi tutti, uscite al ristorante, un cinema ogni tanto, la palestra o la piscina per nostra figlia che così avrebbe avuto la possibilità di smaltire qualche chilo, il parrucchiere almeno una volta al mese... Odio questi capelli bianchi che mi fanno da meches naturali nel contesto di una chioma nera! Mi invecchiano oltremodo. Vedo le altre donne sempre ben tenute, ben vestite, ben truccate, con i capelli sempre tinti in  modo perfetto... Mi sento una sciattona, ogni volta che mi guardo allo specchio.       
Ero bella, un tempo. Glauco mi dice che vado benissimo anche così, che non ho bisogno di tingere i capelli per essere migliore, perché la mia è una bellezza tutta al naturale. Già... gli fa gioco, sostenere una simile idiozia! Ma lui si è mai preoccupato veramente di me? Me lo chiedo spesso. Un conto se fosse stata una mia scelta, un altro essere costretta ad invecchiare prima del tempo, perché mancano i soldi per fare diversamente!        
La mia vicina di casa è una bellissima donna, anche lei sui quaranta, ed è sempre curatissima. Non so che lavoro faccia, né che titolo di studio abbia. Lo so, il titolo di studio e la professione non contano niente, ma per me sono un  motivo in più per sentirmi frustrata. Che cosa ho studiato a fare? Per avere una testa pensante che pensa più di una testa di basso livello, così da poter rendermi conto di quanto io sia infelice? A questo mi è servita la mia laurea? A volte, invidio le persone ignoranti: non si rendono conto del proprio stato e magari sono pure felici. Mio padre me lo diceva sempre: devi lavorare, figlia mia, devi renderti autonoma, indipendente, devi farlo per te stessa. Aveva ragione. Mi sarei affrancata da quest'uomo che mi vive accanto senza nemmeno accorgersi di me. Mi domando se Glauco non si sentirebbe più gratificato come uomo, nell'avere accanto una moglie ben curata e felice, soddisfatta di se stessa e della vita che vive. Potrei portare in casa la mia gioia e forse qui dentro si respirerebbe un'aria più serena. Invece qui l'aria è pesante, opprimente.     
E poi non mi piace sentire Glauco ripetere sempre ai figli Chiedete alla mamma, che tanto non ha niente da fare.            
Io sono l'autista di famiglia, la collaboratrice domestica, la segretaria personale di mio marito. Ecco, è esattamente questo quello che sono. Che cosa me ne faccio di questi miei quarant'anni?
Cosa farò oggi? Andrò a comprare una torta in pasticceria o forse la farò io stessa, tanto ho tempo da vendere, mi truccherò, mi vestirò bene e preparerò un'ottima cena per stasera, che tanto Elena non mangerà. Spero solo che Davide non decida di uscire con i suoi amici, altrimenti dovrà mangiarsela riscaldata domani a pranzo, perché a casa nostra non si butta via niente.  
"Buongiorno, mamma! Buon Compleanno!" Questa è la voce di Elena, che fa il suo ingresso in cucina, in questa mattina di fine Ottobre, mentre io sto sorseggiando il mio caffè-latte. In effetti potrebbe anche sforzarsi di avere un tono un po' più enfatico, di metterci un minimo di entusiasmo. Sembra una zombie. E non lo è solo ora, perché sono le sette meno un quarto del mattino: lei è sempre così. Ha l'aria di una morta in piedi. Come vorrei vederla più entusiasta, anche nelle piccole cose! Ma mia figlia, mi chiedo, si è mai entusiasmata per qualcosa? Amore, piccola... mi sembra un'ameba! La osservo avanzare come un bradipo verso il piano cottura. So già che si scalderà l'acqua per prepararsi il solito tè senza zucchero, quello al sapore di vaniglia. Ma come si fa a bere una tazza di acqua calda, mi domando? Io le metto sempre il pacchetto dei biscotti, accanto alla tovaglietta americana. Lei finge di non vederlo nemmeno. Finge in mia presenza, perché, ora di sera, il pacco è vuoto e nessun altro in famiglia ha attinto al contenuto.   
"Grazie, tesoro!" Rispondo, abbozzando un debole sorriso. "Hai dormito bene?"
"Come sempre, mamma, ma ho avuto mal di stomaco tutta notte."         
Solito copione. "Oh, cara, mi dispiace. Non hai digerito, ieri sera?"           
Ma che cosa glielo chiedo a fare? Perché questa sceneggiata ogni santa mattina?        
"Dovresti stare più attenta, mangiare in modo più sano ed equilibrato."    
"Ma io mangio sano, mamma!"        
Ma ci credi davvero? Elena, Amore  mio, guarda come ti sei ridotta! Eri una così bella bambina!
Le osservo i rotoli di ciccia che escono dall'elastico dei pantaloni: sembra che in vita abbia un salvagente. Un suo braccio è quasi il doppio di una mia coscia. Provo una stretta al cuore. Vorrei abbracciarla, stringerla forte, gridarle quanto la amo, farle sentire tutta la mia comprensione per la rabbia che ha dentro, per il dolore che le devasta l'anima, perché la mia bambina soffre, non so per cosa, ma soffre. Lo sento, sono sua madre.            
Vorrei poter parlare con lei, chiederle di aprirsi con me, confidarsi, dirmi quello che non va, ma ho paura di urtare la sua sensibilità, perché la mia Elena è una ragazzina molto sensibile. Toccare il tasto sbagliato, potrebbe essere pericoloso. Vorrei tanto portarla da uno psicologo, ma Glauco non è d'accordo, sostiene che siano problemi normali della crescita, che uno è in grado di superare da solo. Ne ha viste lui di ragazze di quell'età inciccionirsi, per poi dimagrire spontaneamente dopo due o tre anni. E' lo sviluppo, dice. E certo, perché adesso un uomo ne sa più di una donna sullo sviluppo femminile! Lui poi, non ne parliamo! Lui sa sempre tutto. Intanto sta rovinando questi miei figli, col suo modo di fare. Davide è un ragazzo perso, smarrito anche lui chissà dove. Fuma, cerca lo sballo per sentirsi grande. Questo è quello che crede mio marito, ma io lo so che lo fa perché anche lui ha qualcosa che lo tormenta dentro, un tarlo che scava la sua anima.
Dio, perché? Perché mi è toccato tutto questo? Che cosa ho fatto di male, per avere questa croce da portare?           
Ecco, l'acqua bolle. Elena vi immerge la bustina del tè e attende cinque minuti.  
"Non me lo dai un bacio, Amore?" Le domando.     
Si avvicina, quasi sbuffando. Mi sfiora appena la guancia con le labbra. Almeno il giorno del mio compleanno potrebbe mostrarmi più affetto!        
"Ti voglio bene, Elena!" Le dico. Glielo dico spesso, perché voglio che non se ne dimentichi.    
Non si siede nemmeno per bere il suo tè, lo tracanna tutto d'un fiato.       
"Scappo, mamma, se no perdo il bus!"       
"Non vuoi che ti accompagni?"         
"No, preferisco prendere l'autobus". 
Esce di corsa, tirandosi dietro la porta. Da un po' di giorni preferisce andare a scuola con i mezzi. Si vede che sta crescendo e si vergogna a farsi vedere con sua madre dalle amiche. O forse c'è qualche ragazzo che le interessa e vuole fare la strada con lui. Quante delusioni la aspetteranno, se non cambierà aspetto e carattere! Già mi immagino i commenti dei ragazzi... Povera figlia mia! Credo che andrò io dallo psicologo al posto suo. Gli parlerò, gli racconterò di lei e mi farò spiegare il modo in cui prenderla, come possa aiutarla. Per i soldi, chiederò un prestito a mia madre: non voglio che Glauco sappia che ci sono andata. Non sarebbe d'accordo e nascerebbero problemi. Certo, se poi lo specialista mi dicesse che necessitano più sedute... beh, allora sarei costretta a parlarne con lui.           
"Mamma, ho bisogno cinquanta euro". Eccolo, è Davide. Ancora in pigiama a quest'ora: farà tardi a lezione, come al solito. 
"Non si saluta nemmeno? Buongiorno!" Gli faccio notare. 
"Dai, mamma, sono in ritardo, dammi cinquanta!" 
"A che cosa ti servono?"       
"La gita. Oggi è l'ultimo giorno per la consegna."    
Ma perché si riduce sempre all'ultimo momento per chiedermi le cose? Quanto mi manda in bestia questo suo modo di fare! 
"Potrei non averli: non sono la Banca d'Italia" Battuta idiota e scontata, scontatissima! Lo diceva sempre anche mia madre, accidenti a me! Mi mordo la lingua. 
"Oh, ma', se non li hai, me li faccio prestare da qualche mio compagno."
Ah, certo, facciamo anche la figura dei pezzenti!   
"Ora guardo". Mi alzo da tavola e mi dirigo verso la credenza dell'ingresso. Apro il primo cassetto e controllo nella scatola dei biscotti, adibita a "cassaforte": due pezzi da venti. Torno da lui.         
"Ci sono solo questi. Devo passare dalla banca a prelevare."       
"Cazzo, mamma, sempre senza soldi, in questa casa!"   
"Davide, modera il linguaggio e vai a vestirti, che è tardi!"  
"Fanculo..." Esce dalla cucina, sbottando.  
"Non fai colazione?"  
"Non ho tempo."        
Non mi ha nemmeno fatto gli auguri...         
Oggi è lunedì e Glauco entra tardi, per cui ora è ancora a letto. Tra poco si alzerà anche lui. Sentirò la porta del bagno cigolare, lo sciacquone del water scrosciare, l'acqua del rubinetto scorrere a fiumi, mentre si laverà i denti. Poi sarà il momento dello scaldabagno: la fiammata dell'acqua calda della doccia che si apre. E dopo una mezz'ora circa, farà il suo ingresso in cucina, tutto ben lavato, profumato, con i capelli ancora umidi, impiastricciati di gel e residui di sapone nelle orecchie. Mi chiederà di sistemargli il nodo della cravatta e si guarderà attorno, per vedere se c'è per caso (o per sbaglio) qualche novità per colazione, io accenderò il gas e metterò la caffettiera sul fuoco, mi siederò di fronte a lui e gli dirò: "Dormito bene, tesoro?"
"Buongiorno, cara!"   
Eccolo entrare in cucina, tutto bello in ordine. Solo io sono ancora in pigiama. Non ho proprio voglia di vestirmi, questa mattina. Ho già rifatto i letti dei ragazzi, sistemato la cucina, portata giù la spazzatura. Non ho avuto nemmeno la decenza di mettermi addosso una tuta e sono scesa per le scale in pigiama. Una volta non lo avrei mai fatto: sarei morta al solo pensiero di incontrare qualcuno ed essere sorpresa così, con i capelli arruffati dopo la notte, raccolti alla bell'e meglio con un mollettone, senza nemmeno avere lavato la faccia che sa ancora di sonno. Ho anche già pulito le verdure per il pranzo, affettato i pomodori e i cetrioli di fine stagione, probabilmente gli ultimi. In questo momento ho le mani unte, grasse di pelle di pollo: ci ho messo un po' a strappargliela di dosso. Non mi piace cucinare il pollo arrosto con la pelle, non la digerisco. A Davide, invece, piace un sacco, perché diventa croccante come le patatine dei sacchetti. Elena non la mangia.   
"Buongiorno!" Rispondo.      
Glauco mi si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia. "Auguri, tesoro!"    
"Grazie". Sorrido. Avrei scommesso che non se ne sarebbe ricordato subito.     
"Uhmm... profumino! Cosa stai cucinando?" Mi abbraccia in vita. Com'è che stamattina è così affettuoso? Non è proprio da lui. 
"Soffritto per il risotto" Rispondo. "Anzi, oggi fammi sapere di preciso per che ore arrivi, così preparo per tempo e non scuoce. Non c'è nulla di peggio del riso scotto."          
Si siede a tavola. Mi guarda, come a dire Ma il caffè? Non lo prepari? Sciacquo le mani sotto il getto dell'acqua calda e le asciugo nel grembiule. Perché non mi chiede se stasera non mi andrebbe di uscire a cena? Mi piacerebbe tanto!
"Buona scuola,Glauco!" Gli dico, mentre lo accompagno alla porta.         
"A più tardi". Prende la sua ventiquattrore di pelle ormai consunta ed esce.         
La casa è piombata nel silenzio più assoluto. Sono sola. Che cosa mi aspetta? Le solite pulizie, la spesa al minimarket all'angolo, giusto pane e latte, magari oggi uno strappo alla regola e prendo anche un ananas e pure una bottiglia di vino buono, di quelli che costano un po'. Poi di nuovo a casa, tra queste quattro mura mute. Potrei farmi un giro nelle cartelle di Glauco, a leggermi qualche relazione nuova... E se facessi un po' di ginnastica? Forse dovrei riprendere a fare un po' di moto. Devo avere ancora in giro quelle vecchie videocassette di Jane Fonda che dà lezioni di aerobica via cavo. Sto facendo una vita da reclusa. Esco solo per fare la spesa e andare a prendere i figli a scuola o dai compagni! Come invidio quelle donne emancipate che escono al mattino presto, per recarsi al lavoro, e rientrano stanche, ma soddisfatte di se stesse, sempre con qualche novità da raccontare. Io non racconto mai niente. Non ho nemmeno mai niente di cui lamentarmi, un capo che mi tormenti, ad esempio, oppure un incarico gravoso, un'assunzione di responsabilità. Niente. Mio marito e i miei figli tornano e mi riversano addosso la loro giornata. Io sono la spugna che assorbe quei fiumi di parole e non ho nulla da dire, però, se mi strizzassero, potrei restituire tutto quanto...           
C'è l'umido da portare di sotto: il sacchetto è già pieno di bucce di verdure, pelle di pollo e avanzi della sera prima. Ci sono anche le bottiglie di plastica: il sacco giallo strabocca, dietro la porta della cucina. Forse dovrei mettermi addosso una tuta... Ma no, dai, tanto prendo l'ascensore, due passi fuori dal portone e sono già allo sgabuzzino dei rifiuti.  
Lego i due sacchi, non metto nemmeno le scarpe, scendo direttamente in ciabatte. Chiamo l'ascensore. E' in questo momento che la porta dei vicini si apre. Oddio, no, che vergogna! La signora Roversi esce con i tre figli.           
"Buongiorno, Signora Carraro!"        
Vorrei scomparire, dissolvermi nell'umido del sacchetto che ho tra le mani. Lei è così bella, così elegante... i bambini così ordinati...          
"Buongiorno" Rispondo a mezza voce. Prego che non prendano l'ascensore pure loro, mi sentirei in imbarazzo. Io non posso scendere cinque piani di scale con le ciabatte, il sacchetto dell'umido e quello delle bottiglie. Invece no, si fermano sul pianerottolo, davanti alla porta della cabina ascensore, e aspettano.           
"Aspetti, l'aiuto!" Mi dice la Roversi, con voce gentile, aprendomi la porta. "Prego, entri prima lei!"
"Grazie". La prossima volta mi laverò e mi vestirò, prima di mettere il naso fuori di casa.

domenica 18 novembre 2012

VOLEVO SOLO ESSERE FELICE

Ho terminato la stesura del mio ultimo romanzo.
Non è ancora pronto nella versione definitiva, ma voglio lasciarvi in anteprima la presentazione.

VOLEVO SOLO ESSERE FELICE 
Presentazione 


E se una mattina ti svegliassi con la consapevolezza che la vita che hai vissuto finora non è quella che avresti voluto vivere? Se ti sfiorasse il pensiero di avere sprecato i tuoi anni migliori, le tue aspirazioni, le tue potenzialità?    
Senti che avresti meritato di più e che la colpa è stata anche un po' tua, perché non hai fatto nulla di quanto fosse nelle tue facoltà, per realizzare te stessa, perché ti sei semplicemente accontentata. Ma forse non è troppo tardi, forse puoi avere un'altra occasione.
           
E' quello che succede a Sandra, la protagonista di questo romanzo drammatico e struggente.  
Un viaggio interiore alla scoperta di se stessa, che la porterà a ritrovare le proprie radici, a rivendicare la propria affermazione nel mondo.      
Sandra seguirà un percorso di trasformazione interiore che la porterà ad evolvere come persona, un passaggio da crisalide a farfalla.     
Ma un evento tragico interverrà nella sua vita, proprio nel momento in cui la trasformazione sembra realizzarsi in pieno. E il destino la porterà a cambiare di nuovo direzione.          
Sarà un cammino doloroso, alla scoperta della propria forza, con un finale a sorpresa.
Un romanzo profondo, ricco di emozioni e di forti sentimenti, che farà vibrare le corde del cuore ai lettori più sensibili.

L'autrice, Laura Veroni, è nata e vive a Varese ed è docente di lettere.

giovedì 25 ottobre 2012

IL CIELO E' PIENO DI STELLE SECONDA EDIZIONE

E' disponibile sul sito www.lulu.com la seconda edizione del mio libro.
Ringrazio tutti coloro che me lo hanno richiesto.

Per ordinarne una copia, cliccare sul titolo sottostante.

IL CIELO E' PIENO DI STELLE

venerdì 19 ottobre 2012

Comunicazione IL CIELO E' PIENO DI STELLE


Da parte di coloro che lo hanno letto, mi sono stati segnalati alcuni errori di battitura, che, nonostante la revisione attenta, mi sono sfuggiti, nel mio libro IL CIELO E' PIENO DI STELLE, così ho pensato di ritirarlo, per apportare le dovute correzioni. Pertanto, chi lo cercasse nel sito www.lulu.com, attualmente, non lo troverebbe più.

Mi sembrava doveroso segnalarlo, dal momento che alcuni  mi hanno contatta, dicendomi che erano intenzionati ad acquistarlo.
Mi scuso per l'inconveniente.

Pubblicherò una nuova edizione.

Ringrazio di cuore tutti coloro che lo hanno acquistato e che lo hanno letto e anche coloro che lo hanno suggerito e consigliato ad altri.
Non appena sarà nuovamente disponibile, sarà mia premura informarvi tramite il blog.


Ancora Grazie!

martedì 16 ottobre 2012

Considerazioni sui commenti alle 24 ore


Pubblicata su Varese News, non pensavo che la mia lettera sulle 24 ore settimanali avrebbe suscitato tanto clamore e, soprattutto, non pensavo che avrei trovato così tanti commenti, per lo più negativi.     
Rimasta in prima pagina dalla mattina al tardo pomeriggio, ha quotato 57 post.
A questo punto, vado a fare una considerazione: la nostra è una categoria di poveracci.    
E non per lo stipendio, ma per come veniamo considerati o meglio NON CONSIDERATI dall'opinione pubblica.        
Siamo lavoratori e siamo educatori (doppia funzione), formatori delle generazioni future che domani saranno (o meglio dovrebbero essere) cittadini responsabili, membri di una società, si auspica, civile. Questo è il nostro compito e lo è da sempre, da quando esiste la scuola, da quando esiste la funzione docente.        
Ebbene, credo di poter dire che abbiamo fallito. E lo dico a ragion veduta e con molta amarezza.
La mia lettera-sfogo cercava solidarietà e comprensione da parte delle altre categorie di lavoratori, in quanto lavoratori anche noi. Ho ricevuto più insulti e offese che messaggi di solidarietà. Insulti e offese gratuite contro la nostra categoria e, lasciatemelo dire, infondate.
Che tristezza!
Cito il sunto di alcuni commenti:    
- Vergognatevi! Siete solo capaci di lamentarvi e di pianificare le ferie!
- Era ora che cominciaste a lavorare di più: siete solo degli scansafatiche!    
- Siete ignoranti, non fate niente, non avete voglia di lavorare, volete solo l'aumento di     stipendio!       
- Siete retrogradi, fermi a cinquant'anni fa!       
Qualcuno mi ha pure detto di cambiare mestiere...       
DESOLANTE...
Da tutti i commenti è emerso che il lavoro che svolgiamo a casa è disconosciuto, ci ritengono una "casta" privilegiata. Quanto astio nelle parole di certe persone! Nemmeno le avessi insultate! Loro, invece si sono permesse di insultare noi.  
Quanti si sono permessi di entrare nel merito del nostro lavoro, sostenendo di conoscerlo bene, perché a scuola ci sono stati tutti!    
Perché, mi domando, basta andare a scuola per conoscere la professione dell'insegnante?
Perché non vengono in classe loro ad insegnare allora! Tutti dovremmo avere l'abilitazione all'insegnamento, a questo punto, visto che l'istruzione è obbligatoria per tutti!      
Sarebbe come dire che, siccome nella vita mi sono ammalata tante volte e sono stata spesso dal medico, posso fare il dottore anch'io, perché so bene quello che fa.    
Io non mi permetterei mai di criticare il lavoro altrui, se non ci sono dentro.  
Qualcuno ha detto che correggiamo una verifica al mese...     
Dobbiamo spiegare forse che per Lettere (la mia materia) esistono più verifiche al mese: grammatica, tema, comprensione della lingua orale e scritta, storia e geografia (ne faccio due a quadrimestre), il tutto moltiplicato per 50 alunni (ho due terze, una di 24 e una di 26).      
E questo per quello che riguarda me.      
Ma vogliamo parlare dei colleghi di matematica e di lingua straniera, che hanno più classi, fino anche a sei?          
E lo so, a questo punto, qualcuno potrà obiettare che materie come musica, educazione motoria, arte e religione non hanno correzioni da fare (non è sempre così). Mettiamo anche che non ne abbiano: partecipano a tutti i consigli di classe!      
Un commento diceva che noi prof correggiamo durante le lezioni, mentre i ragazzi fanno altro. No comment.         
C'è stato qualcuno che ha sottolineato che i professori lavorano anche di pomeriggio, certo, dando lezioni private e arrotondando lo stipendio i nero. Sì, probabilmente qualcuno lo fa. Io no, grazie, mi bastano già le mie ore.   
Qualche altra persona ha scritto, riferendosi alla mia citazione della LIM che porterebbe via molto tempo per preparare le lezioni, che siamo retrogradi e ci mettiamo tanto perché non sappiamo usare le nuove tecnologie. Beh, a questo qualcuno vorrei rispondere che noi docenti facciamo numerosi corsi di aggiornamento anche sulle TIC (e si vada a vedere che cosa significa, se non lo sa!). Io, per esempio, ho conseguito l'ECDL e ho seguito un corso di numerose ore sull'uso della LIM. Certo che è facile da utilizzare: il "difficile" è organizzare una lezione ben fatta! Costui si vada a cercare in internet Laura Veroni Promethean Planet e si veda le lezioni che ho preparato e pubblicato su svariati argomenti (quella sull'Odissea ha richiesto parecchio tempo, per esempio).        
Siamo obbligati a tenerci aggiornati, perché dobbiamo adeguarci ai tempi. No siamo fermi a cinquant'anni fa. Forse questa persona non entra nel mondo della scuola da cinquant'anni!
E non si creda che solo io lavoro in questo modo: molti docenti lo fanno, più di quanti immaginiate! Molti di noi hanno blog o siti nei quali inseriscono lavori propri e dei propri alunni, molti comunicano con i ragazzi da casa, tramite pc. Io, per esempio, mi faccio spesso inviare compiti, elaborati via mail, come file allegati, li correggo e li pubblico nel sito della scuola, quando meritano, e invito i ragazzi a rivederseli, per comprendere gli errori fatti. E' un po' come prolungare il tempo scuola e rimanere sempre collegati.       
Mi sono anche preoccupata di aiutare i miei alunni per la preparazione agli esami, creando un sito apposito, in cui ho inserito la sintesi delle conoscenze delle mie materie, comprensiva del programma dell'intero terzo anno di medie, e ho inserito i link ai test Invalsi con le correzioni, perché si possano esercitare. Visitatelo!    La prof Veroni e i suoi alunni   

Amarezza, dunque, per tutte le critiche ricevute. Tanta.          
E torno a pensare che forse abbiamo fallito nel nostro compito educativo, perché le persone che ci hanno criticato sono le stesse che abbiamo avuto nei banchi di scuola, anni fa.       
Noi educatori, formatori di questa umanità, raccogliamo il frutto di quanto abbiamo seminato. Forse abbiamo seminato male, se questi sono i risultati.  
Vi rendete conto, colleghi? Nessuna riconoscenza, nessun riconoscimento del nostro lavoro.
Il pregiudizio nei confronti della nostra categoria è troppo radicato. Se poi è avallato da chi ci governa, beh, allora non abbiamo scampo!         
Un tempo la maestra entrava in classe e gli alunni si zittivano e mostravano rispetto. Avevano forse anche paura, perché esisteva la fatidica bacchetta. Oggi le bacchettate le prendiamo solo noi!      

domenica 14 ottobre 2012

24 ORE


24 ore
Non riesco a tacere su quanto mi tocca da vicino. Sono stanca di sentirmi sempre ripetere che noi insegnanti lavoriamo poco, che abbiamo due mesi di vacanza all'anno, che, finite le ore in classe, abbiamo tutto il tempo libero che vogliamo...
Puntualizziamo.
Lavoriamo poco... Solo 18 ore a settimana... il nostro stipendio sarebbe già fin troppo elevato per quelle poche ore!   
Solo 18 a settimana? 18 IN CLASSE! E vorrei che fosse chiaro! Come hanno già sottolineato altre mie colleghe, il grosso del nostro lavoro viene svolto DOPO le ore scolastiche. Noi non facciamo gli insegnanti, SIAMO INSEGNANTI, dice Anna Rita Vizzari nel suo blog. E ha perfettamente ragione. Noi ci portiamo a casa il lavoro e la scuola entra nelle nostre vite, nelle nostre famiglie.   
Che cosa facciamo noi insegnanti, quando non siamo a scuola?
Dedichiamo pomeriggi interi alla correzione dei compiti, alla preparazione delle lezioni (anche di quelle destinate alle nuove tecnologie, come la LIM, che portano via un sacco di tempo), alla stesura delle verifiche, alla pianificazione del lavoro, alla compilazione di programmazioni didattico-educative, alla stesura dei PDP (ingrato compito che compete ai coordinatori, che devono leggere attentamente le diagnosi mediche di neuropsichiatri e logopedisti ed estrapolarne il succo, per poi riportarlo in varie tabelle, svolgendo un lavoro di copiatura, dopo avere compreso la terminologia medica, vocabolario alla mano, ma va bene, ci si chiede anche questo e noi eseguiamo!) e quant'altro.
E ora mi rivolgo al Ministro Profumo.
Grazie, Ministro, per avere pensato a noi nullafacenti! Ci mancavano queste sei ore!
Se il nostro stipendio fosse adeguato, magari potremmo anche farci un pensiero, che ne dice?     
Ha idea di che cosa significhi lavorare 18 ore a settimana per 10 mesi circa con i ragazzi? Immagina il dispendio di energie (fisiche e mentali)? Riesce a realizzare come sia stare in classe, a contatto con preadolescenti e adolescenti super agitati e carichi di energie, che sottraggono a noi?     
Volete darci 6 ore in più a settimana, per parificare il nostro lavoro con quello degli altri paesi europei? Parificateci anche lo stipendio, allora! Altrimenti ci costringerete a fare il minimo indispensabile dovuto. Perché ogni altro lavoratore chiede di essere pagato per il tempo che dedica al proprio lavoro? Lei pensa che il mio idraulico venga a casa mia gratis per riparare una tubatura? Mi fa pagare pure l'uscita! Un avvocato presta la propria consulenza gratis? Potrei citarLe tutte le altre professioni, persino la colf, che viene pagata a ore! Ma noi CORPO DOCENTE che cosa rappresentiamo per questa società? E mi viene da chiedere anche per il governo? Siamo dei poveri dementi che non meritano considerazione e che vanno spremuti come limoni, obbligati a piegare la testa e dire va bene senza pretendere di essere considerati degni? Sì, Ministro, perché qui si tratta di DIGNITA' che Lei sta violando! Ma non trova offensive le Sue parole, quando dice che andiamo trattati col bastone e la carota?
Un tempo, medico e insegnante erano le persone più stimate nella società. Oggi la nostra categoria viene sbeffeggiata e non solo dalle nuove generazioni, che ci considerano poco (basti vedere la mancanza di rispetto che c'è verso i professori da parte di diversi alunni), ma anche dallo Stato. E Lei, Ministro ne è l'emblema.
Ha idea che cosa significhino 6 ore in più? Moltiplicazione del lavoro non sono in classe, ma anche a casa.
La Vizzari dice che noi non facciamo gli insegnanti, SIAMO INSEGNANTI. Bene, io vorrei anche essere una persona e come tale riconosciuta e rispettata. E vorrei poter godere del riposo che compete ad ogni categoria di lavoratori, perché l'operaio, terminate le sue ore in fabbrica, può gestire tutto il resto del tempo come meglio crede. A questo punto dico che lo voglio anche io.
Sa che cosa si meriterebbe il sistema? Che, staccato il lavoro, dopo le ore in classe, non facessimo più niente! Basta correggere compiti, basta preparare le lezioni, basta partecipare alle riunioni, basta consigli di classe, collegi docenti, commissioni, basta progetti!!! BASTA! Non faremmo più verifiche scritte (niente correzioni), non progetteremmo più niente, non ci metteremmo più a disposizione delle famiglie e degli studenti. E la scuola con la sua offerta formativa andrebbe a farsi benedire. Sarebbe la morte del POF.
Io, personalmente, dedico un numero indicibile di ore alla mia scuola, mi occupo del sito,  lavoro su alcuni progetti che richiedono molto dispendio di tempo e di energie e faccio tutto questo gratis. Per i progetti c'è un riconoscimento minimo (si sa il budget delle scuole è quello che è), al sito dedico ore e ore del mio tempo a titolo completamente gratuito. E lo faccio da casa, sottraendo tempo e attenzioni alla mia famiglia. Ma lo faccio per i miei ragazzi e lo faccio perché ci credo, perché credo che l'istituzione scuola vada avanti grazie all'impegno e alla dedizione delle persone, perché credo che l'educazione sia paragonabile a una missione e se le cose funzionano è solo grazie all'impegno e, ripeto, alla dedizione, alla passione di persone che, come me, credono in quello che fanno.
Ma non siamo animali da soma (o preferisce che dica SOMARI?) e, a un certo punto, quando si pretende troppo... concluda Lei, Ministro.    
Volete darci le 24 ore? AUMENTATECI LO STIPENDIO, MA CHE SIA DECOROSO E NON UN'ELEMOSINA!
Ministro, così facendo, Lei uccide la passione di quegli insegnanti che nel proprio lavoro mettono l'anima e il cuore e che, mi creda, sono tanti ancora oggi, nonostante tutto.
Il Suo provvedimento non  migliorerà la scuola, potrà solo peggiorarla.

Laura Veroni

sabato 13 ottobre 2012

Le 24 ore settimanali (di Anna Rita Vizzari)

Ho letto sul blog di Anna Rita Vizzari il suo amarissimo sfogo, circa la questione delle 24 ore settimanali, proposte per noi docenti, e non ho potuto fare a meno di infervorarmi ancora più di quanto già non fossi. 
Avevo in mente di scrivere anch'io uno sfogo, ma Anna Rita mi ha preceduta e lo ha fatto magistralmente, dando voce ai miei stessi pensieri. 
E' per questo che l'ho contattata, chiedendole il permesso di pubblicare il suo articolo, come lettera aperta, nel mio blog.

Grazie, Anna Rita!

Le 24 ore settimanali: sfogo insolitamente lungo

In genere non scrivo qua articoli di opinione o perorazioni: segnalo le risorse tecnologiche in modo rapido e stop. Ma ieri ci hanno ventilato - come soluzione ai mali dell'Italia - la reificazione di un timore e voglio parlarne.
La proposta è quella di portare da 18 a 24 l'orario di lezione settimanale degli insegnanti della scuola secondaria (di primo e di secondo grado). Ovviamente il peso morto da tagliare è costituito come sempre dagli insegnanti... chissà che cosa ne direbbe Freud.

Parliamo delle ore settimanali di un insegnante della secondaria.

Attualmente, un docente della scuola secondaria fa, in classe, 18 ore. Sottolineo: in classe.

Poi ci sono le ore degli incontri pomeridiani: consigli di classe, collegi docenti, riunioni di dipartimento, GLH, colloqui con i genitori et alia.

E infine c'è il lavoro sommerso effettuato a casa.

Suddetto lavoro sommerso ha le seguenti caratteristiche:

- un ambiente della casa adibito a studio piuttosto che ad altro (che so, camera per gli ospiti),

- un computer acquistato privatamente, senza possibilità di scaricarlo come fanno i professionisti,

- uso di stampante, carta e inchiostro di casa,

- uso della corrente domestica,

- utilizzo della connessione domestica.

Un lavoro svolto circondati da familiari (consorti e figli) che non riescono a capacitarsi che il loro caro ci sia e allo stesso tempo non ci sia. Come si può lavorare nelle ore che invece dovrebbero essere dedicate alla vita privata? Ma non è tempo libero, dico sempre ai miei cari, sono ore che per me è doveroso dedicare alla scuola.

Per questo ho sempre detto: 18 ore settimanali (più riunioni pomeridiane) vi sembrano poche? Bene, fatecene fare altre 20 a scuola per lavori d'ufficio, poiché di pomeriggio noi siamo tenuti a svolgere svariati lavori a casa:
- redazione di programmazioni e relazioni,
- predisposizione dei materiali,
- preparazione e correzione delle verifiche scritte,
- comunicazioni epistolar-telematiche con gli alunni per sempre più diffusi progetti tecnologici particolari,
- doveroso aggiornamento contenutistico e metodologico.
Ho detto lavori d'ufficio, non di classe.
Ossia, dateci un ufficio - tecnologicamente attrezzato - a scuola.
Non basta la sala professori, quello stanzino con una decina di sedie e senza la minima strumentazione. Intendo un ufficio ogni 3-4 professori, come avviene per qualsiasi altro impiegato della pubblica amministrazione.
Fa comodo non darci quelle ore, vero? Fa comodo che connessione, stampe e fotocopie le facciamo direttamente da casa, con scontrini e bollette a nostro carico. Il mancato riconoscimento delle ore extra dell'insegnante significa far risparmiare allo Stato cifre insospettabili.

Tra la laurea e il concorso a cattedre ordinario ho lavorato in un ipermercato come cassiera part-time. Facevo 24 ore settimanali, poi passate a 23 con lo stesso stipendio (un gradito regalo). Un lavoro massacrante (provate ad avere a che fare con clienti inferociti per cose che non dipendono da voi), tanto che quando ci spaccavamo la schiena per caricare scatoloni dal magazzino ci rilassavamo perché con la mente potevamo dedicarci ad altro. Era un lavoro inadeguato per una laureata, ma tornavo a casa e staccavo totalmente.
Con la scuola questo non avviene, non si stacca mai. Uno non fa l'insegnante, uno è insegnante. Per questo anche a distanza di decenni gli ex alunni ci chiamano ancora "Prof.".
Come mamma insegnante posso dire che il meglio dal punto di vista educativo lo riservo ai miei alunni, perché quando torno a casa ho bisogno del mio angolo di silenzio (dopo ore e ore in classi sempre più numerose), per cui con mio figlio che mi cerca perdo subito la pazienza che invece in classe mantengo fino allo spasimo.
E ricordo che mia madre, anche lei prof. di Lettere alle "medie", quando tornava a casa veniva assalita da noi figlie che ci sentivamo rispondere "Lasciatemi sola, mi rintrona la testa, ho bisogno di silenzio".
Facendo 24 ore settimanali inevitabilmente si ridurrebbero il tempo e l'energia da dedicare al lavoro sommerso (quello svolto a casa a nostre spese) per preparare materiali, correggere verifiche e tutto quello che ho elencato sopra. Perché, se lo Stato ci considera dei pesi morti che fanno lo stretto indispensabile, io inizio a fare lo stretto indispensabile, a livello di tempo domestico e anche di impiego di materiali acquistati personalmente. Questo giova alla qualità della formazione dei ragazzi?
Parliamo anche delle 24 ore in cui abbiamo la totale responsabilità su una trentina di minorenni, che non si possono assolutamente lasciare soli neppure per le motivazioni più sacrosante come l'andare in bagno per un bisogno fisiologico impellente o per cambiare il Tampax (un'insegnante può dire "Tampax" o deve dare l'idea del robot asessuato?). Non esistono necessità fisiologiche da assecondare: l'insegnante non può abbandonare la classe per cose così frivole come andare alla toilette. Un tempo si contava sui collaboratori, ma con i tagli inferti anche a quella categoria dobbiamo imparare a trattenere all'inverosimile.
E la qualità della didattica? La personalizzazione dei percorsi?
Ah però c'è lo spauracchio della valutazione Invalsi. Dobbiamo lavorare in funzione di quello... quindi quelle 24 ore settimanali le dedicheremo soltanto all'addestramento Invalsi, per avere capra e cavoli?
Sono stata farraginosa e incompleta, ma dovevo sfogarmi ed esprimere il mio punto di vista di insegnante appassionata prima di entrare a scuola. Perché oggi, a scuola, entro alle 10, con buona pace di chi odia la mia categoria.

Pubblicato da Anna Rita Vizzari 

sabato 22 settembre 2012

ABOUT ME... Il piacere di scrivere


Mi è sempre piaciuto molto scrivere, inventare storie, sin da bambina.         
A 10 anni scrissi il mio primo "libro", un giallo di circa un'ottantina di pagine di quaderno a quadretti. Ricordo che cominciava con un omicidio in una villa in riva a un lago.         
Ero affascinata dai gialli (mi piaceva vederli anche in tv).        
A 18 anni scrissi invece il mio primo libro serio. Si intitolava "...E ritornare a sognare", una storia di adolescenti che si affacciavano al mondo adulto con timore e curiosità. Lo presentai ad una casa editrice, ma non se ne fece nulla. Mi risposero che la storia era troppo pessimista, per essere pubblicata nelle loro collane.
Abbandonai per un po' la scrittura, ma la ripresi qualche anno dopo e scrissi alcuni thriller, anche quelli inviati a case editrici. Nessuna mi rispose e non seppi più nulla. Erano tutti rigorosamente scritti a macchina (non esisteva ancora il  computer per uso personale all'epoca. Sto parlando infatti di 25 anni fa).         
Scrivere un libro era faticoso due volte: ad ogni errore si doveva riscrivere tutta la pagina!
Per questo, scrivevo a mano, su quadernoni, per poi ricopiare tutto a macchina (un lavoraccio!). Molto più comodo oggi, direi! E anche più veloce.   
Smisi di scrivere, quando cominciai a lavorare come insegnante (poco tempo, due figli e una famiglia...), però non accantonai  mai l'idea di riprovarci.   
        
Per me, scrivere è esprimere sentimenti ed emozioni (che siano vere o inventate poco importa) ed è bisogno di comunicare, trasmettere, ma anche fantasticare e sognare (perché no?).
        
Facendo l'insegnante, sentivo sempre più urgente il bisogno di esprimermi su molti argomenti riguardanti il mio lavoro, sia dal punto di vista didattico che da quello educativo.
Cominciai a scrivere articoli per i giornalini scolastici, poi, finalmente arrivò il sito!    
Mi venne l'idea di creare un sito tutto mio, dove poter scrivere tutto quello che volevo.      
Gli diedi il nome di Colori di Laura, ad esprimere la molteplicità dei contenuti espressivi.     
L'ho chiuso giusto quest'estate, per rinnovarlo (e per rinnovarmi) e ho aperto il blog con una nuova grafica, più fruibile da parte dell'utente e meno caotico.        
Abbandonato il genere thriller, mi sono dedicata a quello autobiografico con I RICORDI DI LALLA, autopubblicato, grazie al servizio di lulu.com, tramite il quale ho pubblicato anche LETTERA AD UNO PSICHIATRA, in risposta al libro del Dottor Andreoli, LETTERA AD UN INSEGNANTE.
E adesso... adesso è nato il mio primo vero romanzo: IL CIELO E' PIENO DI STELLE.
Si tratta di una storia o meglio di più storie intrecciate di donne tutte alla disperata ricerca dell'amore, di quello vero, unico, grande, che chissà se c'è per davvero e chissà se c'è per tutte... I personaggi femminili sono dominanti nella storia, ma compaiono anche personaggi maschili a fare, per così dire, da contorno.        
Le loro storie si intrecciano continuamente, con un alternarsi di momenti sereni, di altri drammatici e di colpi di scena, che arriveranno a stravolgere alcune delle loro vite.
Credo che molte donne potranno ritrovarsi nelle mie donne, ma forse anche qualche uomo potrà scoprire se stesso tra le pagine.
Com'è nata la storia? Mi verrebbe da dire che è nata da sola, ma non è esattamente così.  Avevo in mente il punto di partenza e quello di arrivo, ma tutto quello che ci sta dentro è davvero nato da sé, si è sviluppato poco alla volta, mentre scrivevo: da un'idea ne nasceva subito un'altra.
Avendo inserito numerosi personaggi, ho trovato un po' di difficoltà a tenere il filo della storia. A volte dovevo tornare indietro, per vedere come si era concluso un capitolo, per potermi riagganciare nel seguito, poiché ho volutamente utilizzato la tecnica della sospensione delle vicende di un personaggio per passare a quelle di un altro, ora intrecciandole, ora no.
Il personaggio principale è quello di Celeste: è da lei che comincia la storia ed è a lei che tutto riconduce, ma ogni donna del libro vive di vita propria, se così posso dire.
Inizialmente avevo pensato ad un titolo diverso: CELESTE. Sottotitolo: IL VERO AMORE NON ESISTE, I VERI AMORI Sì. Poi , man mano che si sviluppava la trama, ho deciso di cambiarlo, perché non volevo che risaltasse solo una donna, ma tutte quante, perché ognuna nella storia ha la sua importanza. Il sottotitolo, invece, mi sembrava troppo limitante, categorico, esclusivo.
IL CIELO E' PIENO DI STELLE, invece, apre l'anima alla speranza.