lunedì 9 aprile 2012

ACCIAIO



Quando un libro trasmette emozioni...
11 Luglio 2010

Natale 2009, Esselunga, reparto libri. Ho voglia di un bel romanzo, da leggere durante le vacanze. Cosa c’è di più bello, nei lunghi e freddi pomeriggi d’inverno, che mettersi sotto lo scaldotto e  immergersi in una storia? Vediamo un po’… Titoli, copertine, immagini… Oh, ecco qua l’ultimo di Fabio Volo, “Il tempo che vorrei”! Carino, Volo, leggero, un passatempo rilassante! Leggo la trama. Ma sì, dai, lo prendo! Però anche un  bel thriller, da divorarne le pagine con ansia, sotto le coperte, prima di addormentarsi… Mi colpisce la copertina de “Il Suggeritore” di Carrisi. Trama... Ok, metto anche questo nel carrello.
Da Natale ad oggi ho messo nel carrello altri libri: “Non è lui”, di Sophie Hannah, “L’Ipnotista” di Lars Kepler, “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano e “Acciaio” di Silvia Avallone.
Letti tutti. Giusto oggi ne ho iniziato uno nuovo, “Venuto al Mondo” della Mazzantini.
Devo dire che sono sempre molto attratta dai thriller, ma poi resto delusa, perché, dopo poco tempo che li ho terminati, non ricordo nemmeno più di che cosa parlino. Gira e rigira, si assomigliano tutti: cadaveri, assassini, tensione, moventi psicologici… Alla fine confondo le storie.
Ci sono libri, invece, che ti restano dentro, che ti danno emozioni che durano nel tempo, che puoi rinnovare, solo ripensandoci. Acciaio è uno di questi.
Ho notato che gli uomini sono migliori delle donne, nello scrivere thriller, mentre le donne sono imbattibili nel raccontare i sentimenti. Silvia Avallone è fantastica! A soli 26 anni pubblica il suo primo romanzo, questo, ed è già un successo. Lo dedica alle sue migliori amiche e a tutti quelli che fanno l’acciaio.
La storia è ambientata a Piombino, ma spazia per le zone limitrofe della Toscana, Follonica, in particolar modo. Certamente l’autrice biellese conosce molto bene i luoghi descritti e deve averci vissuto per un certo periodo di tempo, in quanto io stessa, che frequento quelle località da ben 20 anni, durante l’estate, ho riconosciuto gli ambienti nelle descrizioni. Il libro cita industrie, locali, vie reali, ma la storia, come si legge nella prima pagina, è puro frutto di fantasia, anche se si fatica a crederlo, tanto ti entra dentro, pagina dopo pagina, riga dopo riga, al punto che ti sembra di conoscere, oltre ai luoghi, i personaggi.
Anna e Francesca sono così vere, così vive, palpitano così carnalmente sulla carta, che paiono saltar fuori e materializzarsi. Lo stesso dicasi per Alessio, il fratello di Anna, che lavora nell’acciaieria di Piombino, la Lucchini, insieme a Cristiano e Mattia, per il padre Arturo e la madre Sandra; per i genitori di Francesca, Enrico e Rosa.
Il libro è l’intreccio delle storie dei vari personaggi, ma alla base di tutto è l’amicizia profonda tra Francesca e Anna, un’amicizia che si perde a un certo punto, per ricomporsi in un finale drammatico.
E’ una storia di degrado e disperazione, di speranze, di sogni, di illusioni e delusioni, di desideri espressi e non espressi, di ricerca di se stessi, di perdizione.
Il linguaggio è duro e realistico, fatto di termini gergali, di parole pesanti, ma il peso maggiore che si avverte è quello della disperazione dei “grandi”.
Anna e Francesca hanno solo 13 anni, sono  bambine che stanno sbocciando, all’inizio della storia, e sono spensierate, vivono come vive una qualsiasi adolescente di quell’età, fanno progetti per il futuro, sperano in una vita migliore e sembrano credere fino in fondo di potere un giorno abbandonare lo squallore di quel quartiere nel quale sono nate e cresciute. I grandi  invece no. Soprattutto le figure femminili adulte, le mamme delle due ragazze, Rosa e Sandra.
Rosa, la madre di Francesca, è la prima a comparire nella storia e si mostra subito come una “poveretta”, succube e vittima di un marito  violento, ossessionato dalla bellezza della figlia, che vorrebbe controllare e che di fatto controlla (il libro, non a caso, inizia proprio con Enrico che spia dalla finestra, col binocolo, la figlia che fa il bagno in mare con gli amici, mentre la collera gli monta dentro, per gli sguardi lussuriosi dei maschi che si posano sul corpo della sua Francesca). Rosa subisce in silenzio le angherie del marito e non ha il coraggio di ribellarsi. Subisce le percosse e accetta le violenze perpetrate di Enrico contro la figlia, lo sente mentre la picchia selvaggiamente, dietro la porta della camera chiusa a chiave. Vorrebbe denunciarlo, si dice che lo farà, poi ritorna sui suoi passi e resta in attesa che succeda qualcosa, qualcosa che modifichi lo stato delle cose senza che questo dipenda dalla sua volontà. Rosa è giovane, ha poco più di trent’anni, ma è già una donna disfatta, quasi che la sua vita fosse giunta alla fine, quasi vivesse nell’attesa di questa inevitabile fine.
Sandra, al contrario, è una donna attiva, che lavora, è impegnata politicamente, sembra emancipata. E’ più vecchia  di Rosa, ma ha un’energia vitale che la fa apparire molto più giovane. Sandra e Rosa abitano nella stessa palazzina, ma non si frequentano, nonostante le figlie siano grandi amiche sin dai tempi dell’asilo. Rosa non fa mai entrare nessuno in casa sua, per timore che la verità possa venire allo scoperto (meglio tenere la vergogna chiusa dentro le quattro mura), parla alle persone attraverso la porta socchiusa, vive una realtà da segregata, fino al giorno in cui incontra Sandra sulla terrazza comune, mentre stendono i panni, e questa la invita ad andare da lei a prendere un caffè. Rosa lo fa, solo dopo che la sua Francesca tenta il suicidio, in seguito alle violenze subite dalla furia del padre. Rosa chiede aiuto a Sandra e questa si mostra disponibile. Sandra si infervora, parla di accompagnarla dai carabinieri, la spinge a denunciare il marito, a lasciarlo, a fargliela pagare per tutte le angherie che lei e la figlia hanno dovuto subire e Rosa sta lì a bere avidamente ogni goccia di quelle parole, a sentirle vere e farle proprie e si sente forte di una forza mai provata prima, pronta ad affrontare ogni conseguenza, pronta a ricominciare la sua vita daccapo, senza più quell’uomo, quel mostro, che le ha rovinato la vita e l’ha rovinata a sua figlia. Parole, solo un mucchio di parole gettate al vento, parole inutili e inutilmente pronunciate, perché Rosa non avrà mai il coraggio di farlo e preferirà accettare di vivere una vita di disperazione sicura, piuttosto che rischiare di vivere davvero, ma nell’incertezza, senza più avere alle spalle le certezze che quell’uomo, che l’aveva raccolta bambina e sposata, le aveva dato fino allora e le avrebbe continuato a dare. Da quel momento, Rosa si eclissa agli occhi di Sandra, consapevole di avere segnato, con la rinuncia, la propria sconfitta. Significativo un incontro casuale tra le due donne, ad un certo punto della storia, in cui Sandra rinfaccia a Rosa di non avere avuto il coraggio di scegliere una vita diversa, mentre Rosa, per la prima volta in vita sua, trova il coraggio di dire quello che realmente sente e pensa e vomita addosso all’altra, che tanto parla di libertà ed emancipazione, che si prodiga in lotte sindacali e recita la parte della donna grande e indipendente, la sua debolezza nell’avere accettato di continuare a vivere accanto al marito Arturo, dopo che questi se n’era andato di casa per un lungo periodo di tempo, senza dir nulla a nessuno, per ricomparire un giorno, con un anello con brillante per la moglie e un’auto nuova fiammante per il figlio ( e nulla per Anna).
Se deboli, alla fine, risultano le figure delle due donne, falliti appaiono i due uomini: violento e zoticone Enrico, ubriacone delinquente Arturo. Entrambi falliti e puniti dalla vita, il primo colpito da una malattia che lo costringe sulla sedia a rotelle, ridotto a un semivegetale, a doversi fare imboccare e pulire dalla figlia Francesca; il secondo colpito dal lutto familiare della perdita del figlio Alessio, morto in un incidente sul lavoro.
E sullo sfondo di tutte queste disgrazie e di questo degrado, sempre loro due, Anna e Francesca, amiche per la pelle, fino a che Anna si innamora di Mattia, un amico del fratello, colui che per distrazione, investirà l’amico col Caterpillar, con la convinzione di avere investito un gatto. Sì, doveva essere proprio un gatto, non poteva essere nient’altro che uno schifoso gatto, di quelli rognosi, come ce ne sono tanti. L’aveva spiaccicato sotto le ruote, l’aveva sentito. Solo era strano che un gatto potesse fare una pozza di sangue così ampia sotto l’escavatore. Mattia rappresenta l’elemento  di rottura nella vita di Anna, di stravolgimento totale della vita: il suo ingresso nella storia porta alla rottura dell’amicizia con Francesca, fino a culminare nella morte di Alessio, il fratello che si era sempre occupato e preoccupato di lei, che le aveva fatto un po’ da padre, ruolo al quale Arturo sembra abdicare sin dall’inizio del romanzo. E’ Mattia che spinge Francesca, segretamente innamorata di Anna, a perdersi e darsi a uomini molto più grandi di lei, a vendere il proprio corpo nei locali notturni a soli quattordici anni, spacciandosi al proprio datore di lavoro, come una diciottenne, senza che quello, uomo senza scrupoli, verifichi la reale età di colei che appare subito la gallina dalle uova d’oro, per l’avvenenza fisica, la sensualità acerba, la malizia dello sguardo.
Ma, alla fine del romanzo, tutto si ricompone e Anna e Francesca siedono allo stesso tavolo a fare colazione insieme, inzuppando biscotti nel latte, come facevano da bambine, mentre Sandra propone alle due ragazze una gita all’Elba, come avevano sempre sognato di poter fare, un giorno.

 Lau

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