lunedì 9 aprile 2012

Storia di un vecchio



   Eccolo il garage del gommista!
Il cielo è bianco, compatto, senza una nuvola, foriero di un'imminente nevicata: meglio essere previdenti e montare le gomme da neve. Accosto e salgo con le ruote sul marciapiede. Lancio una rapida occhiata all'interno del garage: c'è solo una persona. Suppongo che non dovrò attendere molto per essere servita. Prima di aprire la portiera e scendere, volgo lo sguardo allo specchietto retrovisore: una vecchia auto rossa, una Skoda, rallenta dietro di me. La guida un uomo anziano, dal volto paffuto e rubicondo, la fronte ampia e stempiata. Mi guarda e si affianca alla mia vettura, senza distogliere lo sguardo. La sua è un'espressione mista di sfida e disapprovazione. Sta sicuramente pensando ECCOLA LA SOLITA DONNA CHE POSTEGGIA SUL MARCIAPIEDE E INTRALCIA IL TRAFFICO! Del resto, non c'era altro posto dove fermarsi!
Rallenta, mi supera e sale a sua volta sul marciapiede.
Scendo e mi dirigo all'interno del garage. Il garagista, un uomo pelato sulla quarantina dalla pelle del viso tutta butterata, ma un sorriso affabile e conquistatore e due occhi azzurrissimi e schietti, mi si avvicina e domanda di che cosa ho bisogno.
"Devo montare le gomme antineve." Comunico. "Può farlo subito o devo lasciarle la macchina?"
Mi risponde che deve finire prima un lavoro e che dovrò aspettare un po'. Aspetterò.
Mi volto verso l'uscita e noto l'uomo della Skoda che sta entrando nel garage: la sua camminata è ciondolante come quella di un ubriaco e si regge a fatica sulle gambe.
Il garagista lo saluta calorosamente: dal tono confidenziale, deduco che devono conoscersi da tempo. Anche lui deve montare le gomme da neve. Aspettiamo distanti l'uno dall'altra, quasi una distanza di sicurezza, messa in atto da due estranei diffidenti e "rivali": a chi tocca per primo? Siamo arrivati praticamente insieme! Man mano che i minuti passano, non so come, la distanza si accorcia sempre più, finché mi ritrovo il vecchio vicino. Il vecchio… Pronuncio questo nome con rispettosa consapevolezza di quello che rappresenta ai miei occhi. Deve avere all'incirca settantacinque/ottant'anni. La sua postura non è statica: anche da fermo continua a ciondolare. Si è trascinato a fatica fino a me, in cerca di un contatto umano. Mi guarda. I suoi occhi sono cerulei e annacquati, annacquati di tristezza e di vecchiaia e, forse, di stanchezza. Già… sembra proprio stanco. Dovessi dire di che cosa, non sbaglierei dicendo di vivere. Ed ecco che le sue labbra, anch'esse molto mobili (continua a ritrarre il labbro inferiore, lo fa sparire nella bocca, lo morde tra i denti e lo lecca con la lingua, con rapidi movimenti), si schiudono in un suono articolato e pronuncia le prime parole di quello che sarà un lungo discorso. Mentre parla, sembra masticare tabacco, ma è sempre lo stesso strano movimento della bocca.
Strano, penso, non attacca col solito discorso del tempo. Inizia, invece, a "vomitare" il bollettino medico sul proprio stato di salute.
"Ho la flebite." Mi dice, forse per giustificare la propria andatura. "Sembro ubriaco, ma non è così". E' come se mi avesse letto nel pensiero.
L'estate scorsa è stato operato alla gola e la flebite gli è venuta di conseguenza: sta prendendo un sacco di farmaci. Ha avuto un ictus, cinque anni fa: era sul Gottardo insieme alla moglie, stava guidando e, per poco, non finivano fuori strada. E' stato operato al cervello. Un anno fa ha subito un intervento al cuore. Mi racconta dei suoi tre figli ( due femmine e un maschio) che vivono in Francia e dei nipoti che hanno tutti tra i venti e i venticinque anni: non li vede mai. Gli hanno telefonato la scorsa estate, l'ultima volta. La moglie, l'ha cacciata di casa, perché, quando lui andava al lavoro, anche di sera, lei usciva a divertirsi. Così dice: "Faceva troppo la furba". Adesso vive solo, in una vecchia casa ristrutturata, nei boschi della Valcuvia: l'aveva sistemata per viverci con la moglie e con i figli (Ingrati!), prima che lo abbandonassero. Fa freddo, in questi giorni, e la casa non ha riscaldamento. Il vecchio ha sempre utilizzato la legna del bosco da bruciare nella stufa, ma quest'anno, malconcio com'è, non ce la fa ad andare nei boschi a tagliare la legna ed è costretto a starsene al freddo. Beve un grappino ogni tanto e un buon bicchiere di vino a pasto ("ma non creda che mi ubriachi, anche se tanti, nelle mie condizioni, lo farebbero"), per scaldarsi di dentro. "Io sto bene da solo", continua a ripetere. Ma i suoi occhi annacquati tradiscono un'infinita tristezza. "Pensi, "continua, "ho lavorato tutta una vita, mica come si lavora adesso! Ho lavorato anche dodici ore al giorno, a volte quindici. E per che cosa? Ho messo da parte dei soldi e me li hanno mangiati fuori tutti i miei figli e quella furba di mia moglie! Per non parlare dei nipoti! Quelli venivano dal nonno solo a batter cassa, finché ce n'era! E a cosa mi è servito lavorare così tanto? Cosa mi resta adesso? Nessuno mi cerca più… Non sanno nemmeno che esisto… Ma io sto bene da solo."
Che tristezza…!
"Mi dica Lei," continua, "che senso ha vivere? Che vita è la nostra? Me lo dica!"
Oddio, mi sta mandando in crisi! Adesso anche i miei occhi sono annacquati. Provo una gran pena per il vecchio e la provo anche per me, per quella che potrò essere un giorno, nella mia vecchiaia. La provo per tutti i vecchi del mondo, perché tutti i vecchi del mondo sono così: ciondolanti di cuore, con gli occhi annacquati dalla vita, col labbro che scompare triste dentro la bocca, col cuore gonfio d'angoscia e la mente fatta solo di ricordi, senza speranza, senza futuro, solamente in cerca di un contatto umano che ancora gli faccia sentire che sono, esistono, vivono ancora… nonostante tutto…ancora.

Lau

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