lunedì 9 aprile 2012

Viaggio in Normandia


   Sei giorni in Francia. Si parte per una vacanza diversa. Non più la solita sfacchinata a camminare ore ed ore, ma un viaggio in auto. Levataccia alle 4 di mattina, arrivo a Malpensa e imbarco alle 6.30. Pochi turisti, questa volta, e molta gente d’affari (si distingue, perché veste in giacca e cravatta e ha la classica ventiquattrore). Ilaria è sempre seduta accanto a me. Stavolta si ride meno del solito: il sonno ha la meglio.
Arriviamo al Charles de Gaulle che sono quasi le 8 e noleggiamo subito l’auto che ci porterà in Normandia e sarà nostra fedele compagna per 4 giorni, una Ford S Max turbo diesel canna di fucile. Ila protesta, perché vorrebbe quella nel posteggio accanto, un Jeeppone super mega galattico. Ma che te ne fai? Dico io, Mica te la porti a casa? Dino brontola subito, perché ha una guida a scatti, più che scattante. Io sono contenta, perché è comoda, grintosa e soprattutto non ci tradirà mai per tutta la durata del viaggio (e scusate se è poco!).
Che cosa avevo detto? Non più la solita sfacchinata? 1200Km in auto!!! Una cosa insopportabile, per me che soffro la macchina! E, ovviamente, rigorosamente dietro, perché la pole position è sempre di Ila. Nausea a gogò!
Destinazioni previste: Bayeux, Le Mont-St-Michel, St-Malo, Honfleur, Etretat, Rouen e Parigi.
Problemi, i soliti: la lingua. Ma questa volta Ila la conosce un po’ e ci appoggiamo a lei, che capisce più di noi e, soprattutto, parla, mentre noi ci arrangiamo in inglese (il mio tragico). Ogni anno, quando arriva l’estate, mi dico che vorrei fare un corso di inglese, poi, chissà com’è, non lo faccio mai.
 PRIMO GIORNO:
Arriviamo a Bayeux che è quasi mezzogiorno. Hotel Churchill. Cittadina graziosa. L’albergo è proprio accanto ad una cattedrale gotica meravigliosa. Per le strade si diffonde un profumo di pesce e patatine fritte. Ristoranti aperti a tutte le ore, uno addossato all’altro. Pentole nere, dalle quali gli avventori estraggono cozze a volontà. Noi ripieghiamo sulle insalatone di verdure miste, formaggi, uova e pesce, condite, ahimè, con salse (mai olio!). Il massimo della vita, dopo la nausea da viaggio. Vabbè…
Nel pomeriggio visita a Omaha Beach, la spiaggia dello sbarco, con visione di un film in un cinema a 360 gradi, al cimitero americano e alle case matte.
La spiaggia è la stessa in cui hanno girato il film “Salvate il soldato Ryan”. Fa un certo effetto vedere dal vivo ciò che avevo visto sullo schermo. Camminiamo sulla sabbia, respirando l’odore dell’Oceano. Resti di navi. Resti di guerra.
Poi il cinema. Non ho mai sopportato i rumori forti, gli scoppi, ma, adesso, non porto le mani alle orecchie: voglio sentire tutto. Sono qui, ora, probabilmente non ci tornerò più, e voglio vivere la storia, la voglio sentire dentro di me, voglio guardare quelle scene di  guerra, voglio vivere il momento come fossi io un soldato, mandato a morire, nemmeno per la mia patria, a morire per salvare, per liberare un altro popolo. Immagini crude, di repertorio, si sovrappongono a immagini attuali, di quella che è oggi Omaha Beach. Rumore forte di mitragliatrici, di bombe. Uomini che cadono a terra feriti o morti. Ragazzi giovani che sbarcano sulla spiaggia, molti dei quali non fanno neppure in tempo a mettere il piede sulla sabbia, che vengono già colpiti. Chissà i loro pensieri, i loro sentimenti, la loro paura, le loro domande o, forse, un’unica domanda: PERCHE’? PER CHI?
E arriviamo al cimitero, visto e rivisto in migliaia di foto, in immagini alla tv, ma esserci è tutta un’altra cosa. Un silenzio sacrale, una distesa di erba finissima, tagliata ad arte, nel rispetto di quei caduti, e migliaia di croci bianchissime, su ognuna delle quali sono scolpiti i nomi oppure, in mancanza di quelli, la frase HERE RESTS IN HONORED GLORY A COMRADE IN ARMS KNOWN BUT TO GOD. Leggo un po’ di nomi. Ila scatta numerose foto, Dino pure. Ai piedi di alcune croci, mazzi di fiori. Chissà chi li avrà deposti?
Raggiungiamo le case matte. Il luogo è pieno di fastidiosi moscerini che ci si appiccicano addosso e che ci riporteremo anche in auto. La giornata è grigia e piovigginosa, nonostante sia Luglio inoltrato. Golfino doveroso e ombrello.
 SECONDO GIORNO:
Le Mont-St-Michel e St-Malo.
Come nelle foto! Il Santuario dedicato a San Michele Arcangelo svetta al centro dell’isola, maestoso.
Lasciamo l’auto al parcheggio sulla spiaggia, ci informiamo circa gli orari dell’alta marea e ci avviamo all’interno del borgo. Percorriamo la scalinata che porta all’ingresso del santuario, ma la coda è infinita e decidiamo di rinunciare, altrimenti ci salta la visita a St Malo. Peccato, però: dev’essere fantastico l’interno! Facciamo un giro per negozietti, in cerca di souvenirs, ma non c’è nulla di convincente.
St Malo è un borgo carinissimo, tutto raccolto all’interno di mura, con ristoranti sulla strada, negozi piccoli e graziosi che espongono di tutto. Acquistiamo degli asciugamani simpatici, appesi ad una testa di omino e donnina con ricamata la scritta “Bretagna”.
 TERZO GIORNO:
Honfleur ed Etretat.
Cambio di albergo. Abbandoniamo il “Churchill” di Bayeux per “l’Entre Terre et Mer” di Honfleur. Arrivo verso l’ora di pranzo, visita al porto e al centro del paese, super panino, mangiato seduti per terra, tra la folla di vacanzieri e turisti. La camminata sulla foce della Senna è un brulicare di gente. Anche qui ristoranti a gogò, affollatissimi. Una breve sosta e poi via per Etretat, alla volta delle Falesie. Arriviamo a pomeriggio inoltrato. Fa caldo, per la prima volta in questi giorni. Ci inerpichiamo lungo un sentiero che conduce ad un’altura a picco sul mare: una distesa d’erba, sentieri sassosi e lo strapiombo roccioso, ad un’altezza vertiginosa, senza parapetto. Un gruppo di turisti si avventura su uno spuntone di roccia pericoloso: non oso guardare.  Sono pazzi? Mi domando. Ecco che arrivano due guardie, armate di fischietto, e iniziano a fischiare e a gridare di indietreggiare. Meno male!... Ila osserva che una delle falesie è tale e quale a quella che si trova sul suo libro di arte. E’ scavata dall’azione erosiva dell’acqua e forma un arco nel mare.
 QUARTO GIORNO:
Rouen.
Altri chilometri in auto per raggiungere la città di Giovanna D’Arco. Cavolo, un incidente in autostrada! Non ci voleva proprio! Coda…
Arriviamo anche qui verso l’ora di pranzo. Una baguette al jambon e Camembert, seduti al tavolo di un bar stranissimo: piccolo, raccolto, affollato di oggetti, con strane lampade a forma di ombrelloni con vasi di fiori di plastica appesi. Alle pareti, foto di Marylin Monroe e Audrey Hepburn. Entra un gruppo di ragazzi italiani e si siede dietro di noi. Intanto, fuori, inizia a piovere. Appena spiove, usciamo all’aperto e visitiamo la città, fino ad arrivare alla piazza dove venne arsa sul rogo Giovanna D’Arco.
Terminata la visita, torniamo alla macchina, per dirigerci alla volta di Parigi.
Primo intoppo: uscire da Rouen. Il tom-tom non funziona: assenza di segnale per il gps. Indicazioni zero. Giriamo e rigiriamo all’interno della città, ritrovandoci sempre al punto di partenza, poi, finalmente, l’uscita! Avvistiamo l’indicazione per l’autostrada A13, direzione Parigi. Alleluja! Ma, ecco, di nuovo un intoppo: l’incidente della mattina ha bloccato l’autostrada. Un camion si è rovesciato e ha invaso la corsia opposta. La polizia devia il traffico. E adesso? Chiediamo informazioni: Escuse moi, pour Paris? Il poliziotto fa segno a destra, ma non parla. Vanno tutti da quella parte, andiamo anche noi!... Persi. Usciamo dall’autostrada. E ora? Nemmeno un’indicazione! Che si fa? Ah, ecco, una rotonda con dei cartelli! Ci sarà scritto da qualche parte Parigi! Invece no! Ci ritroviamo a Rouen!!! Nooo!!! Non è possibile! Altra rotonda. Forse l’uscita è di qua! No, forse di là, no dall’altra parte! O da quell’altra? Quattro giri a vuoto per la rotonda… Sembriamo degli ubriachi che si divertono a fare il girotondo. Poi ci decidiamo a prendere un’uscita qualunque: non possiamo mica fare notte girando in tondo! A fatica riusciamo a rientrare in autostrada, dopo un bel po’ di chilometri, e a raggiungere Parigi, seguendo l’indicazione St. Denis, come indicatoci dalla casellante. Rieccoci all’aeroporto, dove consegniamo la vettura. Prendiamo quindi il treno per il centro della città. Piove che Dio la manda. In tarda serata, raggiungiamo l’Hotel D’Orsay, vicinissimo al Museo omonimo.
Scarichiamo il bagaglio, poi doccia veloce e passeggiata a piedi fino agli Champs Elisée. Finalmente si cammina, dopo tutti quei chilometri in auto! (Me ne pentirò già il giorno dopo…).
Cena in un ristorantino in una via laterale: quelli centrali sono superaffollati! Rientro a piedi, con l’aria frizzantina e tanta stanchezza addosso.
 QUINTO GIORNO:
Parigi.
Il mattino seguente, ci alziamo di buon’ora e iniziamo la visita della città. Prima tappa: la Tour Eiffel! Bella passeggiata lungo la Senna, con un’aria gelida da Nord e golfino bene allacciato: 18 gradi. Arriviamo sotto la torre: code allucinanti per salire in ascensore. Ovviamente si va a piedi! Mi… ma quanti sono i gradini? C’ero già stata nel lontano ’91, ma non ricordavo tutta quella fatica! Ila sale come una gazzella, io schiatto dalla fatica: fiato zero e mal di gambe pazzesco. Mi aggrappo alla ringhiera. Finalmente guadagniamo il primo livello e io mi fermo qui, anche perché soffro di vertigini. Ila e Dino procedono la salita. Nell’attesa, mi siedo all’interno di un cinema, che proietta spezzoni di film famosi con le scene girate sulla torre. Faccio in tempo a rivedere lo stesso film per ben quattro volte. Eccoli che arrivano! Scendiamo.
Attraversiamo la strada, per dirigerci alla volta di Montmartre, la collina alla cima della cui scalinata campeggia la basilica del Sacro Cuore. Lungo la strada, ci fermiamo ad una baracchino, per gustare una crepe al cioccolato. Ma quante calorie stiamo ingerendo in questi giorni, tra salse, paninozzi e porcate varie?!?
A metà scalinata di Montmartre un giovane suona la chitarra e canta canzoni famose, mentre una folla di turisti, seduta sui gradini, assiste e applaude, intonando cori.
Visitiamo la Basilica, poi giro tra le viuzze dei pittori. Ci sono quadri bellissimi esposti. Uno in particolare colpisce la mia attenzione e quella di mia figlia: rappresenta uno scorcio di casa vecchia, con una nonnina affacciata alla finestra e un gatto tigrato per strada. E’ un dipinto dai colori cupi, dove spiccano i capelli bianchi della nonna. Il pittore è un cinese anziano, piccolo e magro, con uno sguardo vispo, ma dolce. Si accorge che siamo incantate davanti alla sua opera e sorride. Meraviglioso! Lo voglio! Ci passiamo davanti ben tre volte, insistendo con “papà”, perché lo compri. Ehmmm… 600 euro. Shhh… facciamo finta di niente…
Un uomo ammira mia figlia, mentre passiamo: ragazzi, le fa la radiografia!!! Pi mi guarda ed esclama: Brava, mamma! Eh, modestamente, ce l’ho messa tutta, quando l’ho fatta! Bella, vero? Un ragazzo moro la ferma, mentre passa (e no, adesso basta! Giù gli occhi dalla mia bambina!!!) e comincia a tagliuzzare un foglietto  nero, col quale riproduce il suo profilo perfetto. Un minuto nemmeno di lavoro e 10 euro pelati! Ecco, ok, ora è meglio andare via di qui, visto che Ilaria piace assai… Non vorremmo tornare in albergo col portafogli vuoto! Scendiamo la gradinata. In fondo, un uomo la vede passare e la chiama Bellicapelli (Ila ha meravigliosi capelli biondo cenere, lunghi fino in fondo alla schiena, mossi e vaporosi). Adesso basta, però!
Prossima tappa Notre Dame! Meravigliosa cattedrale! Una delle più belle del mondo! Ci perdiamo più di un’ora a visitarla.
Ora camminiamo in direzione del Louvre. Attraversiamo i giardini delle Tuileries. Incomincio ad avvertire una stanchezza infinita e non vedo l’ora di rientrare in albergo.


Ore 20.00 incontriamo Amalia. Amalia è la nostra vicina di casa, abita al piano sopra il nostro. Casualmente, abbiamo scoperto che sarebbe partita da sola, per una vacanza studio a Parigi, proprio nei giorni in cui ci saremmo stati anche noi, così ci siamo scambiati i numeri di cellulare, per incontrarci e trascorrere una serata insieme. Sembra assurdo, ma con le vacanze al’estero ci siamo sempre rincorse, senza saperlo! Amsterdam lei, Amsterdam noi; Stoccolma lei, Stoccolma noi; Parigi lei, Parigi noi… e non ce lo siamo mai detto prima!
Di nuovo sugli Champes Elisée. Questa volta, però, ristorante centralissimo: l’Alsace. Cena a base di cozze gratinate, ostriche, salmone per me ed entrecote per loro. Il tutto innaffiato da un delizioso vino bianco secco.
Sulla strada del ritorno all’albergo, ci fermiamo su uno dei tanti ponti ad osservare la Tour Eiffel e… meraviglia! Scintilla di luci bianche, che sembra un fuoco d’artificio!!! Ogni tot ore, durante la notte, la torre offre agli spettatori questo spettacolo di luci. Fantastico! Rientriamo a tarda notte, con uno degli ultimi metrò.
SESTO GIORNO:
Parigi.
Visita la museo d’Orsay.
Oramai sono cotta dalla stanchezza. Ho mal di schiena, mal di gambe, male al collo a forza di tenere lo zaino in spalla. Sono proprio alla frutta! Anche Ila è stanca. Forse lo è anche Dino, ma sembra di no, a vedere come sale le scale e si sofferma nelle varie sale. Adoro l’impressionismo, ma è all’ultimo piano e purtroppo iniziamo la visita dai piani inferiori, per cui, arrivati alle sale per me più interessanti, non ce la faccio più e non riesco nemmeno a gustare i dipinti. Voglio soltanto sedermi e bere un po’ d’acqua. Ho i piedi in ebollizione!
Dal primo all’ultimo piano, centinaia di quadri: Monet, Pissarro, Renoir, Sisley, Van Gogh (il mio preferito!), Gauguin (l’altro mio preferito!), Degas, Manet, Toulouse-Lautrec e tanti tanti altri.
Fine della visita, Thanks God!
Panino, Hotel, valigie pronte e via per l’aeroporto! Imbarco alle ore 19.45. Nell’attesa, visita al piccolo ed unico negozio nell’area d’attesa. Vende, tra le altre cose, profumi. Ila ed io, per passare il tempo, ne proviamo alcuni, poi facciamo il giro del locale, rientriamo e ne testiamo altri. Alla fine puzziamo a distanza di essenze di tutti i tipi! Come noi, altri passeggeri in attesa di imbarcarsi. Finalmente l’aereo arriva. Si sale e si vola alla volta dell’Italia, destinazione Milano Malpensa. La copilota, una donna bionda, al momento dell’atterraggio recita le solite frasi di circostanza, ma una suscita l’ilarità mia e di mia figlia: Luftansa vi ringrazia per essere volati con noi! Ila mima la scena del volo collettivo e scoppiamo a ridere come due sceme. Fatti male?
Durante tutto il tragitto, in sottofondo, musica italiana. Al momento di scendere, l’ultima canzone: A te… Jovanotti.

Lau 

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