sabato 24 novembre 2012

Anteprima di VOLEVO SOLO ESSERE FELICE


I

Mi chiamo Sandra e oggi compio quarant'anni.
Mi sono svegliata con una consapevolezza tutta nuova, questa mattina. Quaranta! Fa quasi paura anche solo pronunciarlo! Mi è passata davanti tutta la mia vita, non appena ho acceso la luce. E allora mi sono detta che è giunto il momento di fare dei bilanci. Ecco, sì, da oggi comincerò a fare il bilancio della mia vita, di quella che sono stata finora e di quella che voglio essere da questo momento in poi. Sì, perché così non voglio essere più. Non sono felice. Mi sento depressa. Mi guardo attorno e mi chiedo a chi appartenga questa vita. Non la sento mia. Non l'ho mai sentita mia.
Ho una famiglia che, a detta di molti, è proprio una bella famiglia. 
Non so se ridere della falsità della gente o chiudermi in casa a piangere.
Ma ci vedono veramente per quelli che siamo? Mi domando. Non è possibile che non vedano la realtà.
Mio figlio è quello che si direbbe un ragazzo introverso, poco socievole, almeno così è con noi. Recentemente, ho scoperto che fuma erba. Non mi piace la gente che frequenta, anche se lui insiste nel dire che sono tutti bravi ragazzi. A scuola non va un granché bene, sembra non avere alcun interesse nella vita, a parte le ragazze e la discoteca.      
Mia figlia è bulimica, non ha amici, passa le giornate chiusa nella sua stanza a studiare e mangiare, un'asociale assoluta.        
Mio marito è un uomo burbero, che non dispensa sorrisi a nessuno, una sorta di padre padrone, come i vecchi capofamiglia di una volta. Ogni tanto beve, ma lo fa di nascosto. E' un uomo rigido e  pretende che tutto sia sotto il suo controllo e apparentemente perfetto, perché è quello che la gente deve credere: che siamo il prototipo della famiglia ideale, una sorta di Mulino Bianco di città. Crede che io non mi sia accorta del suo vizio. Invece l'ho capito dal suo umore altalenante, oltreché dall'odore di alcol che esce dalla sua bocca sempre più spesso, la sera, quando viene a letto. Mi sono chiesta perché lo faccia. Sono stata sul punto di chiederglielo più di una volta, ma non ci sono mai riuscita: ho paura di come potrebbe prenderla. Ho paura, sì. Mio marito mi incute timore da sempre. Ora che ci penso, avevo paura di lui anche prima di sposarlo. Ogni volta che si arrabbiava, il suo sguardo mi terrorizzava, gli occhi gli si cerchiavano di un colore livido, lo sguardo diventava truce, la fronte aggrottata, le labbra tirate, così sottili da scomparire dentro la bocca. Ancora oggi la sua faccia diventa così, quando è arrabbiato. La sua voce diventa tagliente, ispida come la sua barba, sempre incolta. Ma non è un uomo trascurato, no, per niente. Si tiene bene, gli piace essere ammirato per il suo stile, per la sua classe. Sembra un vero signore, in mezzo alla gente. Nessuno sospetterebbe mai quanto possa essere duro tra le mura domestiche.
Già, siamo proprio una famiglia perfetta, direi! Quella ideale, che ognuno vorrebbe avere.         
Come ingannano le apparenze, vero?         
Quando usciamo tutti insieme, la Domenica, per andare a messa, siamo sempre ben vestiti, ordinati, ben pettinati. Ce la faccio anche a truccarmi! Ci avviamo verso la Chiesa a piedi, col vestito della festa, mio marito quattro passi davanti a noi, mia figlia accanto a me, mio figlio dietro, perché si vergogna di essere costretto da suo padre ad andare ancora a messa a 17 anni.
Come se la funzione religiosa avesse una scadenza! Arrivi alla Cresima, poi basta, cosa continui ad andare in Chiesa a fare? Ti senti deriso dai tuoi coetanei che non ci vanno più.       
Ma Davide non si può ribellare, deve venire con noi, altrimenti suo padre troverà sicuramente una punizione adeguata, dopo, a casa.       
Glauco è un despota, ha le mani più veloci della lingua. Una volta ha mandato Davide al pronto soccorso. La dichiarazione? Nostro figlio è un ragazzo maldestro e distratto: è caduto dalle scale....
Io ho confermato: ho un figlio idiota, mi dispiace, che cosa ci posso fare?           
Elena è grassa. Si guarda allo specchio e se la prende con me: "Mamma, perché mi hai fatta così cicciona?"
Ma non è colpa mia: io non l'ho fatta così. Ha fatto tutto da sola. Elena non mangia. Non mangia con noi, voglio dire. Non si siede più a tavola insieme alla sua famiglia da diversi mesi, ormai. Svuota il frigo di notte. L'altro giorno ho trovato la pentola del risotto completamente svuotata: era rimasto solo qualche chicco sul fondo, appiccicato là. L'aveva mangiato durante la notte, così, rappreso e freddo. L'ho sentita vomitare a più riprese, poi rumore di cucchiaino che girava lo zucchero nella tazza e un limone mezzo spremuto, abbandonato come un relitto sul piano del lavello, rinvenuto la mattina seguente. Nemmeno si era presa la briga di liberarsi del cadavere. Probabilmente l'aveva fatto apposta: doveva farmi sapere che era stata male. La mia bambina...
Ne ho parlato col medico di base. Mi ha detto che si tratta di bulimia, come già avevo intuito. E' una vera e propria malattia, un disturbo alimentare piuttosto serio e letteralmente  significa fame da bue. Uno mangia di continuo, per riempire un vuoto che non è fisico, ma psicologico, di affetti. Eppure io amo mia figlia, darei la vita per lei! Non credo di averle mai fatto mancare il mio amore e penso di essere stata una buona madre. Ma evidentemente non è così. Oppure non è stato abbastanza.      
E di me, che cosa posso dire? Che donna sono? Io sono per tutti la moglie del professor Carraro. La moglie del professore, così mi chiamano, ovunque vada, quasi non abbia un'identità mia.
In realtà sono Sandra Molise, laureata in lettere moderne con centodieci e lode. Una laurea incorniciata e appesa al muro della mia camera da letto, in ricordo degli studi fatti, di anni di università e tasse pagate inutilmente. Un pezzo di carta appeso a una parete. Credevo che sarei diventata insegnante, grazie a quel pezzo di carta, invece... Mi sono sposata troppo presto, rimasta incinta di Davide a soli ventidue anni, e Glauco ha voluto che facessi la madre e basta. Come le donne di una volta. Che bisogno avevo di lavorare? C'era già lui, col suo stipendio e la modesta eredità ricevuta dai suoi, che bastava a mantenerci, a pagare il mutuo della casa. Stimatissimo professor Carraro... Non mi ha nemmeno lasciato fare il concorso, per provare ad ottenere l'abilitazione all'insegnamento! Che cosa te ne fai? Già, che cosa me ne sarei fatta? Forse, però, oggi sarei anch'io qualcuno, sarei la professoressa Molise, avrei un ruolo preciso in questa società, sarei una persona che produce, che lavora e non una donna insoddisfatta che elemosina l'attenzione del mondo e cerca di affermare se stessa, provando a scrivere libri, che puntualmente vengono respinti dalle case editrici. Una fallita, ecco quello che sono: solo una fallita. Quando vedo mio marito rientrare da scuola con i pacchi di compiti nella cartelletta blu (lui adora il blu, io invece  lo odio! E' un colore così cupo, così triste, così notturno!), provo un moto di invidia. Ci sono volte in cui, quando lui si sdraia sul divano a guardare la televisione, dopo pranzo, per riprendersi un po' dalla mattinata a scuola, tra gli schiamazzi degli studenti, vado nel suo studio e apro la cartelletta. Leggo i compiti. Mi piace scoprire i suoi ragazzi, attraverso i loro temi. Qualche volta, gli correggo anche alcuni compiti di grammatica. Provo un piacere intenso nell'annusare l'odore del foglio, dell'inchiostro della penna rossa. Passo il dito sul tratto grafico dell'alunno, per sentire sotto il polpastrello la forza del carattere, in base alla forza della "calcatura" della penna. Immagino che quei compiti siano miei, che miei siano gli studenti. Leggo i loro nomi sui fogli e cerco di immaginarmi le loro facce. A una certa Annalisa Roncato ho attribuito i capelli biondi, gli occhi azzurri, la carnagione chiara, un viso dai lineamenti dolci. Leggendo le sue composizioni, mi sono fatta un'idea della sua personalità fragile. Alla fine dell'anno, ho sempre l'impressione di conoscerli tutti. Quando poi lui porta a casa le foto di classe, cerco di individuare i singoli, attraverso l'idea che mi sono fatta di ognuno di loro.    
Chiedo spesso a mio marito di parlarmi del suo lavoro. Voglio sapere come si svolga, quale sia il suo rapporto con gli studenti, con i colleghi, col preside. Voglio sapere che cosa dice ai genitori, quando li convoca per discutere le problematiche didattico educative dei figli, quali consigli dia, perché li aiutino a superare le loro difficoltà. Mi scopro a prendermi a cuore la sorte di molti, immedesimandomi nelle loro storie.  
Quando sono in casa da sola, la mattina, mentre tutti sono a scuola, mi piace violare la privacy professionale di Glauco. Entro nella sua cartella lavoro e apro alcune delle sottocartelle, specialmente quelle delle relazioni sui singoli soggetti, a volte anche le programmazioni. Voglio immedesimarmi, sentirmi la prof che non sarò mai e capire anche lui. Già, capire mio marito, attraverso quello che scrive. Voglio conoscerlo come lo conoscono gli altri. Ma più lo leggo, più mi rendo conto di quanto sia freddo, rigido, congelato nel suo ruolo, senza un minimo di flessibilità mentale, esattamente come è a casa con noi. Glauco è proprio così, non c'è speranza che cambi. Come posso anche solo sperare che riesca a capire i suoi figli, la sua famiglia? Lui è al di sopra delle parti, si erge a giudice, a detentore di verità assolute. Immagino che i suoi alunni lo temano, esattamente come lo temiamo noi, che i colleghi lo rispettino per la sua meticolosità, per la preparazione, per la sua vasta cultura (Glauco conosce un sacco di cose, legge moltissimo, si interessa di tutto), ma che non lo trovino una persona gradevole. Al contrario, io credo che lo reputino un uomo noioso e pedante. Chissà se interviene durante le riunioni, sparando sentenze che odorano di verità assolute? Chissà se qualcuno osa contraddirlo? E Chissà come reagisce lui davanti alle obiezioni?      
A casa non è possibile farlo. Nessuno di noi osa. Basta un suo sguardo a zittirci. Glauco è quel tipo di uomo che esercita violenza psicologica su chi gli vive accanto. Mi chiedo se lo faccia consapevolmente o se sia una cosa istintiva la sua, ma, essendo lui un freddo, un cinico razionale calcolatore, credo che lo faccia consapevolmente. Gli piace esercitare il potere sugli altri.
Davide voleva la moto, diceva che gli sarebbe servita per essere più autonomo. Glauco gli ha risposto che non gli sarebbe servita, visto che c'è sua madre tutto il giorno a casa a far niente, che lo può accompagnare ovunque, senza bisogno di spendere soldi inutilmente per una moto, che poi è anche pericolosa. E come dargli torto? Una famiglia costa, tutto costa e un solo stipendio condiziona tutti a centellinare le spese, perché l'eredità dei suoi non si tocca, resta lì, serve per il mutuo della casa. Ma questo lo ha voluto lui. Se io avessi lavorato, il nostro tenore di vita sarebbe stato diverso, ci saremmo potuti concedere delle vacanze, come fanno quasi tutti, uscite al ristorante, un cinema ogni tanto, la palestra o la piscina per nostra figlia che così avrebbe avuto la possibilità di smaltire qualche chilo, il parrucchiere almeno una volta al mese... Odio questi capelli bianchi che mi fanno da meches naturali nel contesto di una chioma nera! Mi invecchiano oltremodo. Vedo le altre donne sempre ben tenute, ben vestite, ben truccate, con i capelli sempre tinti in  modo perfetto... Mi sento una sciattona, ogni volta che mi guardo allo specchio.       
Ero bella, un tempo. Glauco mi dice che vado benissimo anche così, che non ho bisogno di tingere i capelli per essere migliore, perché la mia è una bellezza tutta al naturale. Già... gli fa gioco, sostenere una simile idiozia! Ma lui si è mai preoccupato veramente di me? Me lo chiedo spesso. Un conto se fosse stata una mia scelta, un altro essere costretta ad invecchiare prima del tempo, perché mancano i soldi per fare diversamente!        
La mia vicina di casa è una bellissima donna, anche lei sui quaranta, ed è sempre curatissima. Non so che lavoro faccia, né che titolo di studio abbia. Lo so, il titolo di studio e la professione non contano niente, ma per me sono un  motivo in più per sentirmi frustrata. Che cosa ho studiato a fare? Per avere una testa pensante che pensa più di una testa di basso livello, così da poter rendermi conto di quanto io sia infelice? A questo mi è servita la mia laurea? A volte, invidio le persone ignoranti: non si rendono conto del proprio stato e magari sono pure felici. Mio padre me lo diceva sempre: devi lavorare, figlia mia, devi renderti autonoma, indipendente, devi farlo per te stessa. Aveva ragione. Mi sarei affrancata da quest'uomo che mi vive accanto senza nemmeno accorgersi di me. Mi domando se Glauco non si sentirebbe più gratificato come uomo, nell'avere accanto una moglie ben curata e felice, soddisfatta di se stessa e della vita che vive. Potrei portare in casa la mia gioia e forse qui dentro si respirerebbe un'aria più serena. Invece qui l'aria è pesante, opprimente.     
E poi non mi piace sentire Glauco ripetere sempre ai figli Chiedete alla mamma, che tanto non ha niente da fare.            
Io sono l'autista di famiglia, la collaboratrice domestica, la segretaria personale di mio marito. Ecco, è esattamente questo quello che sono. Che cosa me ne faccio di questi miei quarant'anni?
Cosa farò oggi? Andrò a comprare una torta in pasticceria o forse la farò io stessa, tanto ho tempo da vendere, mi truccherò, mi vestirò bene e preparerò un'ottima cena per stasera, che tanto Elena non mangerà. Spero solo che Davide non decida di uscire con i suoi amici, altrimenti dovrà mangiarsela riscaldata domani a pranzo, perché a casa nostra non si butta via niente.  
"Buongiorno, mamma! Buon Compleanno!" Questa è la voce di Elena, che fa il suo ingresso in cucina, in questa mattina di fine Ottobre, mentre io sto sorseggiando il mio caffè-latte. In effetti potrebbe anche sforzarsi di avere un tono un po' più enfatico, di metterci un minimo di entusiasmo. Sembra una zombie. E non lo è solo ora, perché sono le sette meno un quarto del mattino: lei è sempre così. Ha l'aria di una morta in piedi. Come vorrei vederla più entusiasta, anche nelle piccole cose! Ma mia figlia, mi chiedo, si è mai entusiasmata per qualcosa? Amore, piccola... mi sembra un'ameba! La osservo avanzare come un bradipo verso il piano cottura. So già che si scalderà l'acqua per prepararsi il solito tè senza zucchero, quello al sapore di vaniglia. Ma come si fa a bere una tazza di acqua calda, mi domando? Io le metto sempre il pacchetto dei biscotti, accanto alla tovaglietta americana. Lei finge di non vederlo nemmeno. Finge in mia presenza, perché, ora di sera, il pacco è vuoto e nessun altro in famiglia ha attinto al contenuto.   
"Grazie, tesoro!" Rispondo, abbozzando un debole sorriso. "Hai dormito bene?"
"Come sempre, mamma, ma ho avuto mal di stomaco tutta notte."         
Solito copione. "Oh, cara, mi dispiace. Non hai digerito, ieri sera?"           
Ma che cosa glielo chiedo a fare? Perché questa sceneggiata ogni santa mattina?        
"Dovresti stare più attenta, mangiare in modo più sano ed equilibrato."    
"Ma io mangio sano, mamma!"        
Ma ci credi davvero? Elena, Amore  mio, guarda come ti sei ridotta! Eri una così bella bambina!
Le osservo i rotoli di ciccia che escono dall'elastico dei pantaloni: sembra che in vita abbia un salvagente. Un suo braccio è quasi il doppio di una mia coscia. Provo una stretta al cuore. Vorrei abbracciarla, stringerla forte, gridarle quanto la amo, farle sentire tutta la mia comprensione per la rabbia che ha dentro, per il dolore che le devasta l'anima, perché la mia bambina soffre, non so per cosa, ma soffre. Lo sento, sono sua madre.            
Vorrei poter parlare con lei, chiederle di aprirsi con me, confidarsi, dirmi quello che non va, ma ho paura di urtare la sua sensibilità, perché la mia Elena è una ragazzina molto sensibile. Toccare il tasto sbagliato, potrebbe essere pericoloso. Vorrei tanto portarla da uno psicologo, ma Glauco non è d'accordo, sostiene che siano problemi normali della crescita, che uno è in grado di superare da solo. Ne ha viste lui di ragazze di quell'età inciccionirsi, per poi dimagrire spontaneamente dopo due o tre anni. E' lo sviluppo, dice. E certo, perché adesso un uomo ne sa più di una donna sullo sviluppo femminile! Lui poi, non ne parliamo! Lui sa sempre tutto. Intanto sta rovinando questi miei figli, col suo modo di fare. Davide è un ragazzo perso, smarrito anche lui chissà dove. Fuma, cerca lo sballo per sentirsi grande. Questo è quello che crede mio marito, ma io lo so che lo fa perché anche lui ha qualcosa che lo tormenta dentro, un tarlo che scava la sua anima.
Dio, perché? Perché mi è toccato tutto questo? Che cosa ho fatto di male, per avere questa croce da portare?           
Ecco, l'acqua bolle. Elena vi immerge la bustina del tè e attende cinque minuti.  
"Non me lo dai un bacio, Amore?" Le domando.     
Si avvicina, quasi sbuffando. Mi sfiora appena la guancia con le labbra. Almeno il giorno del mio compleanno potrebbe mostrarmi più affetto!        
"Ti voglio bene, Elena!" Le dico. Glielo dico spesso, perché voglio che non se ne dimentichi.    
Non si siede nemmeno per bere il suo tè, lo tracanna tutto d'un fiato.       
"Scappo, mamma, se no perdo il bus!"       
"Non vuoi che ti accompagni?"         
"No, preferisco prendere l'autobus". 
Esce di corsa, tirandosi dietro la porta. Da un po' di giorni preferisce andare a scuola con i mezzi. Si vede che sta crescendo e si vergogna a farsi vedere con sua madre dalle amiche. O forse c'è qualche ragazzo che le interessa e vuole fare la strada con lui. Quante delusioni la aspetteranno, se non cambierà aspetto e carattere! Già mi immagino i commenti dei ragazzi... Povera figlia mia! Credo che andrò io dallo psicologo al posto suo. Gli parlerò, gli racconterò di lei e mi farò spiegare il modo in cui prenderla, come possa aiutarla. Per i soldi, chiederò un prestito a mia madre: non voglio che Glauco sappia che ci sono andata. Non sarebbe d'accordo e nascerebbero problemi. Certo, se poi lo specialista mi dicesse che necessitano più sedute... beh, allora sarei costretta a parlarne con lui.           
"Mamma, ho bisogno cinquanta euro". Eccolo, è Davide. Ancora in pigiama a quest'ora: farà tardi a lezione, come al solito. 
"Non si saluta nemmeno? Buongiorno!" Gli faccio notare. 
"Dai, mamma, sono in ritardo, dammi cinquanta!" 
"A che cosa ti servono?"       
"La gita. Oggi è l'ultimo giorno per la consegna."    
Ma perché si riduce sempre all'ultimo momento per chiedermi le cose? Quanto mi manda in bestia questo suo modo di fare! 
"Potrei non averli: non sono la Banca d'Italia" Battuta idiota e scontata, scontatissima! Lo diceva sempre anche mia madre, accidenti a me! Mi mordo la lingua. 
"Oh, ma', se non li hai, me li faccio prestare da qualche mio compagno."
Ah, certo, facciamo anche la figura dei pezzenti!   
"Ora guardo". Mi alzo da tavola e mi dirigo verso la credenza dell'ingresso. Apro il primo cassetto e controllo nella scatola dei biscotti, adibita a "cassaforte": due pezzi da venti. Torno da lui.         
"Ci sono solo questi. Devo passare dalla banca a prelevare."       
"Cazzo, mamma, sempre senza soldi, in questa casa!"   
"Davide, modera il linguaggio e vai a vestirti, che è tardi!"  
"Fanculo..." Esce dalla cucina, sbottando.  
"Non fai colazione?"  
"Non ho tempo."        
Non mi ha nemmeno fatto gli auguri...         
Oggi è lunedì e Glauco entra tardi, per cui ora è ancora a letto. Tra poco si alzerà anche lui. Sentirò la porta del bagno cigolare, lo sciacquone del water scrosciare, l'acqua del rubinetto scorrere a fiumi, mentre si laverà i denti. Poi sarà il momento dello scaldabagno: la fiammata dell'acqua calda della doccia che si apre. E dopo una mezz'ora circa, farà il suo ingresso in cucina, tutto ben lavato, profumato, con i capelli ancora umidi, impiastricciati di gel e residui di sapone nelle orecchie. Mi chiederà di sistemargli il nodo della cravatta e si guarderà attorno, per vedere se c'è per caso (o per sbaglio) qualche novità per colazione, io accenderò il gas e metterò la caffettiera sul fuoco, mi siederò di fronte a lui e gli dirò: "Dormito bene, tesoro?"
"Buongiorno, cara!"   
Eccolo entrare in cucina, tutto bello in ordine. Solo io sono ancora in pigiama. Non ho proprio voglia di vestirmi, questa mattina. Ho già rifatto i letti dei ragazzi, sistemato la cucina, portata giù la spazzatura. Non ho avuto nemmeno la decenza di mettermi addosso una tuta e sono scesa per le scale in pigiama. Una volta non lo avrei mai fatto: sarei morta al solo pensiero di incontrare qualcuno ed essere sorpresa così, con i capelli arruffati dopo la notte, raccolti alla bell'e meglio con un mollettone, senza nemmeno avere lavato la faccia che sa ancora di sonno. Ho anche già pulito le verdure per il pranzo, affettato i pomodori e i cetrioli di fine stagione, probabilmente gli ultimi. In questo momento ho le mani unte, grasse di pelle di pollo: ci ho messo un po' a strappargliela di dosso. Non mi piace cucinare il pollo arrosto con la pelle, non la digerisco. A Davide, invece, piace un sacco, perché diventa croccante come le patatine dei sacchetti. Elena non la mangia.   
"Buongiorno!" Rispondo.      
Glauco mi si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia. "Auguri, tesoro!"    
"Grazie". Sorrido. Avrei scommesso che non se ne sarebbe ricordato subito.     
"Uhmm... profumino! Cosa stai cucinando?" Mi abbraccia in vita. Com'è che stamattina è così affettuoso? Non è proprio da lui. 
"Soffritto per il risotto" Rispondo. "Anzi, oggi fammi sapere di preciso per che ore arrivi, così preparo per tempo e non scuoce. Non c'è nulla di peggio del riso scotto."          
Si siede a tavola. Mi guarda, come a dire Ma il caffè? Non lo prepari? Sciacquo le mani sotto il getto dell'acqua calda e le asciugo nel grembiule. Perché non mi chiede se stasera non mi andrebbe di uscire a cena? Mi piacerebbe tanto!
"Buona scuola,Glauco!" Gli dico, mentre lo accompagno alla porta.         
"A più tardi". Prende la sua ventiquattrore di pelle ormai consunta ed esce.         
La casa è piombata nel silenzio più assoluto. Sono sola. Che cosa mi aspetta? Le solite pulizie, la spesa al minimarket all'angolo, giusto pane e latte, magari oggi uno strappo alla regola e prendo anche un ananas e pure una bottiglia di vino buono, di quelli che costano un po'. Poi di nuovo a casa, tra queste quattro mura mute. Potrei farmi un giro nelle cartelle di Glauco, a leggermi qualche relazione nuova... E se facessi un po' di ginnastica? Forse dovrei riprendere a fare un po' di moto. Devo avere ancora in giro quelle vecchie videocassette di Jane Fonda che dà lezioni di aerobica via cavo. Sto facendo una vita da reclusa. Esco solo per fare la spesa e andare a prendere i figli a scuola o dai compagni! Come invidio quelle donne emancipate che escono al mattino presto, per recarsi al lavoro, e rientrano stanche, ma soddisfatte di se stesse, sempre con qualche novità da raccontare. Io non racconto mai niente. Non ho nemmeno mai niente di cui lamentarmi, un capo che mi tormenti, ad esempio, oppure un incarico gravoso, un'assunzione di responsabilità. Niente. Mio marito e i miei figli tornano e mi riversano addosso la loro giornata. Io sono la spugna che assorbe quei fiumi di parole e non ho nulla da dire, però, se mi strizzassero, potrei restituire tutto quanto...           
C'è l'umido da portare di sotto: il sacchetto è già pieno di bucce di verdure, pelle di pollo e avanzi della sera prima. Ci sono anche le bottiglie di plastica: il sacco giallo strabocca, dietro la porta della cucina. Forse dovrei mettermi addosso una tuta... Ma no, dai, tanto prendo l'ascensore, due passi fuori dal portone e sono già allo sgabuzzino dei rifiuti.  
Lego i due sacchi, non metto nemmeno le scarpe, scendo direttamente in ciabatte. Chiamo l'ascensore. E' in questo momento che la porta dei vicini si apre. Oddio, no, che vergogna! La signora Roversi esce con i tre figli.           
"Buongiorno, Signora Carraro!"        
Vorrei scomparire, dissolvermi nell'umido del sacchetto che ho tra le mani. Lei è così bella, così elegante... i bambini così ordinati...          
"Buongiorno" Rispondo a mezza voce. Prego che non prendano l'ascensore pure loro, mi sentirei in imbarazzo. Io non posso scendere cinque piani di scale con le ciabatte, il sacchetto dell'umido e quello delle bottiglie. Invece no, si fermano sul pianerottolo, davanti alla porta della cabina ascensore, e aspettano.           
"Aspetti, l'aiuto!" Mi dice la Roversi, con voce gentile, aprendomi la porta. "Prego, entri prima lei!"
"Grazie". La prossima volta mi laverò e mi vestirò, prima di mettere il naso fuori di casa.

domenica 18 novembre 2012

VOLEVO SOLO ESSERE FELICE

Ho terminato la stesura del mio ultimo romanzo.
Non è ancora pronto nella versione definitiva, ma voglio lasciarvi in anteprima la presentazione.

VOLEVO SOLO ESSERE FELICE 
Presentazione 


E se una mattina ti svegliassi con la consapevolezza che la vita che hai vissuto finora non è quella che avresti voluto vivere? Se ti sfiorasse il pensiero di avere sprecato i tuoi anni migliori, le tue aspirazioni, le tue potenzialità?    
Senti che avresti meritato di più e che la colpa è stata anche un po' tua, perché non hai fatto nulla di quanto fosse nelle tue facoltà, per realizzare te stessa, perché ti sei semplicemente accontentata. Ma forse non è troppo tardi, forse puoi avere un'altra occasione.
           
E' quello che succede a Sandra, la protagonista di questo romanzo drammatico e struggente.  
Un viaggio interiore alla scoperta di se stessa, che la porterà a ritrovare le proprie radici, a rivendicare la propria affermazione nel mondo.      
Sandra seguirà un percorso di trasformazione interiore che la porterà ad evolvere come persona, un passaggio da crisalide a farfalla.     
Ma un evento tragico interverrà nella sua vita, proprio nel momento in cui la trasformazione sembra realizzarsi in pieno. E il destino la porterà a cambiare di nuovo direzione.          
Sarà un cammino doloroso, alla scoperta della propria forza, con un finale a sorpresa.
Un romanzo profondo, ricco di emozioni e di forti sentimenti, che farà vibrare le corde del cuore ai lettori più sensibili.

L'autrice, Laura Veroni, è nata e vive a Varese ed è docente di lettere.