domenica 12 maggio 2013

VOLEVO SOLO ESSERE FELICE (i primi tre)


I


Mi chiamo Sandra e oggi compio quarant'anni.
Mi sono svegliata con una consapevolezza tutta nuova, questa mattina. Quaranta... Fa quasi paura anche solo pronunciarlo! Mi è passata davanti tutta la mia vita, non appena ho acceso la luce. E allora mi sono detta che è giunto il momento di fare dei bilanci. Ecco, sì, da oggi comincerò a fare il bilancio della mia vita, di quella che sono stata finora e di quella che voglio essere da questo momento in poi. Sì, perché così non voglio essere più. Non sono felice. Mi sento depressa. Mi guardo attorno e mi chiedo a chi appartenga questa vita. Non la sento mia. Non l'ho mai sentita mia.
Ho una famiglia che, a detta di molti, è proprio una bella famiglia.
Mio figlio è quello che si direbbe un ragazzo introverso, poco socievole, almeno così è con noi. Recentemente, ho scoperto che fuma erba. Non mi piace la gente che frequenta, anche se lui insiste nel dire che sono tutti bravi ragazzi. A scuola non va un granché bene, sembra non avere alcun interesse nella vita, a parte le ragazze e la discoteca.      
Mia figlia è bulimica, non ha amici, passa le giornate chiusa nella sua stanza a studiare e mangiare, un'asociale assoluta.        
Mio marito è un uomo freddo, che non dispensa sorrisi a nessuno, una sorta di padre padrone, come i vecchi capofamiglia di una volta. Ogni tanto beve, ma lo fa di nascosto. E' un uomo rigido e  pretende che tutto sia sotto il suo controllo e apparentemente perfetto, perché è quello che la gente deve credere: che siamo il prototipo della famiglia ideale, una sorta di Mulino Bianco di città. Crede che io non mi sia accorta del suo vizio. Invece l'ho capito dal suo umore altalenante, oltreché dall'odore di alcol che esce dalla sua bocca sempre più spesso, la sera, quando viene a letto. Mi sono chiesta perché lo faccia. Sono stata sul punto di chiederglielo più di una volta, ma non ci sono mai riuscita: ho paura di come potrebbe prenderla. Ho paura, sì. Mio marito mi incute timore da sempre. Ora che ci penso, avevo paura di lui anche prima di sposarlo. Ogni volta che si arrabbiava, il suo sguardo mi terrorizzava, gli occhi gli si cerchiavano di un colore livido, lo sguardo diventava truce, la fronte aggrottata, le labbra tirate, così sottili, da scomparire dentro la bocca. Ancora oggi la sua faccia diventa così, quando è arrabbiato. La sua voce diventa tagliente, ispida come la sua barba, sempre incolta. Ma non è un uomo trascurato, no, per niente. Si tiene bene, gli piace essere ammirato per il suo stile, per la sua classe. Sembra un vero signore, in mezzo alla gente. Nessuno sospetterebbe mai quanto possa essere duro tra le mura domestiche.  
Già, siamo proprio una famiglia perfetta, direi! Quella ideale, che ognuno vorrebbe avere.        
Come ingannano le apparenze!       
Quando usciamo tutti insieme, la Domenica, per andare a messa, siamo sempre ben vestiti, ordinati, ben pettinati. Ce la faccio anche a truccarmi! Ci avviamo verso la Chiesa a piedi, col vestito della festa, mio marito quattro passi davanti a noi, mia figlia accanto a me, mio figlio dietro, perché si vergogna di essere costretto da suo padre ad andare ancora a messa a diciassette anni.
Come se la funzione religiosa avesse una scadenza! Arrivi alla Cresima, poi basta, cosa continui ad andare in Chiesa a fare? Ti senti deriso dai tuoi coetanei, che non ci vanno più.      
Ma Davide non si può ribellare, deve venire con noi, altrimenti suo padre troverà sicuramente una punizione adeguata, dopo, a casa.       
Glauco è un despota e, a volte, ha le mani più veloci della lingua, ma più spesso si diletta in castighi tipo nascondergli la play station, sequestrargli il cellulare, impedirgli di uscire, costringerlo a rimanere in camera senza cena e cose del genere, tutte cose, a mio parere, frustranti e umilianti, per un ragazzo di quest'età.      
Elena è grassa. Si guarda allo specchio e se la prende con me: "Mamma, perché mi hai fatta così cicciona?"
Ma non è colpa mia: io non l'ho fatta così. Ha fatto tutto da sola. Elena non mangia. Non mangia con noi, voglio dire. Non si siede più a tavola insieme alla sua famiglia da diversi mesi, ormai. Svuota il frigo di notte. L'altro giorno ho trovato la pentola del risotto completamente svuotata: era rimasto solo qualche chicco sul fondo, appiccicato là. L'aveva mangiato durante la notte, così, rappreso e freddo. L'ho sentita vomitare a più riprese, poi rumore di cucchiaino che girava lo zucchero nella tazza e un limone mezzo spremuto, abbandonato come un relitto sul piano del lavello, rinvenuto la mattina seguente. Nemmeno si era presa la briga di liberarsi del cadavere. Probabilmente l'aveva fatto apposta: doveva farmi sapere che era stata male. La mia bambina...
Ne ho parlato col medico di base. Mi ha detto che si tratta di bulimia, come già avevo intuito. E' una vera e propria malattia, un disturbo alimentare piuttosto serio e letteralmente  significa fame da bue. Uno mangia di continuo, per riempire un vuoto che non è fisico, ma psicologico, di affetti. Eppure io amo mia figlia, darei la vita per lei! Non credo di averle mai fatto mancare il mio amore e penso di essere stata una buona madre. Ma evidentemente non è così. Oppure non è stato abbastanza.          
E di me, che cosa posso dire? Che donna sono? Io sono per tutti la moglie del professor Carraro. La moglie del professore, così mi chiamano, ovunque vada, quasi non abbia un'identità mia.
In realtà sono Sandra Molise, laureata in lettere moderne con centodieci e lode. Una laurea incorniciata e appesa al muro della mia camera da letto, in ricordo degli studi fatti, di anni di università e di tasse pagate inutilmente. Un pezzo di carta appeso a una parete. Credevo che sarei diventata insegnante, grazie a quel pezzo di carta, invece... Mi sono sposata troppo presto, rimasta incinta di Davide a soli ventidue anni, e Glauco ha voluto che facessi la madre e basta. Come le donne di una volta. Che bisogno avevo di lavorare? C'era già lui, col suo stipendio e la modesta eredità ricevuta dai suoi, che bastava a mantenerci, a pagare il mutuo della casa. Stimatissimo professor Carraro... Non mi ha nemmeno lasciato fare il concorso, per provare ad ottenere l'abilitazione all'insegnamento! Che cosa te ne fai? Già, che cosa me ne sarei fatta? Forse, però, oggi sarei anch'io qualcuno, sarei la professoressa Molise, avrei un ruolo preciso in questa società, sarei una persona che produce, che lavora e non una donna insoddisfatta che elemosina l'attenzione del mondo e cerca di affermare se stessa, provando a scrivere libri, che puntualmente vengono respinti dalle case editrici. Una fallita, ecco quello che sono: solo una fallita. Quando vedo mio marito rientrare da scuola con i pacchi di compiti nella cartelletta blu (lui adora il blu, io invece  lo odio! E' un colore così cupo, così triste, così notturno!), provo un moto di invidia. Ci sono volte in cui, quando lui si sdraia sul divano a guardare la televisione, dopo pranzo, per riprendersi un po' dalla mattinata a scuola, tra gli schiamazzi degli studenti, vado nel suo studio e apro la cartelletta. Leggo i compiti. Mi piace scoprire i suoi ragazzi, attraverso i loro temi. Qualche volta, gli correggo anche alcuni compiti di grammatica. Provo un piacere intenso nell'annusare l'odore del foglio, dell'inchiostro della penna rossa. Passo il dito sul tratto grafico dell'alunno, per sentire sotto il polpastrello la forza del carattere, in base alla forza della "calcatura" della penna. Immagino che quei compiti siano miei, che miei siano gli studenti. Leggo i loro nomi sui fogli e cerco di immaginarmi le loro facce. A una certa Annalisa Roncato ho attribuito i capelli biondi, gli occhi azzurri, la carnagione chiara, un viso dai lineamenti dolci. Leggendo le sue composizioni, mi sono fatta un'idea della sua personalità fragile. Alla fine dell'anno, ho sempre l'impressione di conoscerli tutti. Quando poi lui porta a casa le foto di classe, cerco di individuare i singoli, attraverso l'idea che mi sono fatta di ognuno di loro.    
Chiedo spesso a mio marito di parlarmi del suo lavoro. Voglio sapere come si svolga, quale sia il suo rapporto con gli studenti, con i colleghi, col preside. Voglio sapere che cosa dice ai genitori, quando li convoca per discutere le problematiche didattico educative dei figli, quali consigli dia, perché li aiutino a superare le loro difficoltà. Mi scopro a prendermi a cuore la sorte di molti, immedesimandomi nelle loro storie.  
Quando sono in casa da sola, la mattina, mentre tutti sono a scuola, mi piace violare la privacy professionale di Glauco. Entro nella sua cartella lavoro e apro alcune delle sottocartelle, specialmente quelle delle relazioni sui singoli soggetti, a volte anche le programmazioni. Voglio immedesimarmi, sentirmi la prof che non sarò mai e capire anche lui. Già, capire mio marito, attraverso quello che scrive. Voglio conoscerlo come lo conoscono gli altri. Ma più lo leggo, più mi rendo conto di quanto sia freddo, rigido, congelato nel suo ruolo, senza un minimo di flessibilità mentale, esattamente come è a casa con noi. Glauco è proprio così, non c'è speranza che cambi. Come posso anche solo sperare che riesca a capire i suoi figli, la sua famiglia? Lui è al di sopra delle parti, si erge a giudice, a detentore di verità assolute. Immagino che i suoi alunni lo temano, esattamente come lo temiamo noi, che i colleghi lo rispettino per la sua meticolosità, per la preparazione, per la sua vasta cultura (Glauco conosce un sacco di cose, legge moltissimo, si interessa di tutto), ma che non lo trovino una persona gradevole. Al contrario, io credo che lo reputino un uomo noioso e pedante. Chissà se interviene durante le riunioni, sparando sentenze che odorano di verità assolute? Chissà se qualcuno osa contraddirlo? E chissà come reagisce lui davanti alle obiezioni?        
A casa non è possibile farlo. Nessuno di noi osa. Basta un suo sguardo a zittirci. Glauco è quel tipo di uomo che esercita violenza psicologica su chi gli vive accanto. Mi chiedo se lo faccia consapevolmente o se sia una cosa istintiva la sua, ma, essendo lui un freddo, un cinico razionale calcolatore, credo che lo faccia consapevolmente. Gli piace esercitare il potere sugli altri.
Davide voleva la moto, diceva che gli sarebbe servita per essere più autonomo. Glauco gli ha risposto che non gli sarebbe servita, visto che c'è sua madre tutto il giorno a casa a far niente, che lo può accompagnare ovunque, senza bisogno di spendere soldi inutilmente per una moto, che poi è anche pericolosa. E come dargli torto? Una famiglia costa, tutto costa e un solo stipendio condiziona tutti a centellinare le spese, perché l'eredità dei suoi non si tocca, resta lì, serve per il mutuo della casa. Ma questo lo ha voluto lui. Se io avessi lavorato, il nostro tenore di vita sarebbe stato diverso, ci saremmo potuti concedere delle vacanze, come fanno quasi tutti, uscite al ristorante, un cinema ogni tanto, la palestra o la piscina per nostra figlia che così avrebbe avuto la possibilità di smaltire qualche chilo, il parrucchiere per me, almeno una volta al mese... Odio questi capelli bianchi che mi fanno da meches naturali, nel contesto di una chioma nera! Mi invecchiano oltremodo. Vedo le altre donne sempre ben tenute, ben vestite, ben truccate, con i capelli sempre tinti in  modo perfetto... Mi sento una sciattona, ogni volta che mi guardo allo specchio.
Ero bella, un tempo. Glauco mi dice che vado benissimo anche così, che non ho bisogno di tingere i capelli per essere migliore, perché la mia è una bellezza tutta al naturale. Già... gli fa gioco, sostenere una simile idiozia! Ma lui si è mai preoccupato veramente di me? Me lo chiedo spesso. Un conto se fosse stata una mia scelta, un altro essere costretta ad invecchiare prima del tempo, perché mancano i soldi per fare diversamente!         
La mia vicina di casa è una bellissima donna, anche lei sui quaranta, ed è sempre curatissima. Non so che lavoro faccia, né che titolo di studio abbia. Lo so, il titolo di studio e la professione non contano niente, ma per me sono un  motivo in più per sentirmi frustrata. Che cosa ho studiato a fare? Per avere una testa pensante che pensa più di una testa di basso livello, così da poter rendermi conto di quanto io sia infelice? A questo mi è servita la mia laurea? A volte, invidio le persone ignoranti: non si rendono conto del proprio stato e magari sono pure felici. Mio padre me lo diceva sempre: devi lavorare, figlia mia, devi renderti autonoma, indipendente, devi farlo per te stessa. Aveva ragione. Mi sarei affrancata da quest'uomo che mi vive accanto senza nemmeno accorgersi di me. Mi domando se Glauco non si sentirebbe più gratificato, nell'avere accanto una moglie ben curata e felice, soddisfatta di se stessa e della vita che vive. Potrei portare in casa la mia gioia e forse qui dentro si respirerebbe un'aria più serena. Invece qui l'aria è pesante, opprimente. 
E poi non mi piace sentire Glauco ripetere sempre ai figli Chiedete alla mamma, che tanto non ha niente da fare.            
Io sono l'autista di famiglia, la collaboratrice domestica, la segretaria personale di mio marito. Ecco, è esattamente questo quello che sono. Che cosa me ne faccio di questi miei quarant'anni?
Che cosa farò oggi? Andrò a comprare una torta in pasticceria o forse la farò io stessa, tanto ho tempo da vendere, mi truccherò, mi vestirò bene e preparerò un'ottima cena per stasera, che tanto Elena non mangerà. Spero solo che Davide non decida di uscire con i suoi amici, altrimenti dovrà mangiarsela riscaldata, domani a pranzo, perché a casa nostra non si butta via niente.  
"Buongiorno, mamma! Buon Compleanno!" Questa è la voce di Elena, che fa il suo ingresso in cucina, in questa mattina di fine Ottobre, mentre io sto sorseggiando il mio caffè-latte. In effetti potrebbe anche sforzarsi di avere un tono un po' più enfatico, di metterci un minimo di entusiasmo. Sembra una zombie. E non lo è solo ora, perché sono le sette meno un quarto del mattino: lei è sempre così. Ha l'aria di una morta in piedi. Come vorrei vederla più entusiasta, anche nelle piccole cose! Ma mia figlia, mi chiedo, si è mai entusiasmata per qualcosa? Amore, piccola... mi sembra un'ameba! La osservo avanzare come un bradipo verso il piano cottura. So già che si scalderà l'acqua, per prepararsi il solito tè senza zucchero, quello al sapore di frutti tropicali. Ma come si fa a bere una tazza di acqua calda, mi domando? Io le metto sempre il pacchetto dei biscotti, accanto alla tovaglietta americana. Lei finge di non vederlo nemmeno. Finge in mia presenza, perché, ora di sera, il pacco è vuoto e nessun altro in famiglia ha attinto al contenuto.
"Grazie, tesoro!" Rispondo, abbozzando un debole sorriso. "Hai dormito bene?"  
"Come sempre, mamma, ma ho avuto mal di stomaco tutta notte."         
Solito copione.           
"Oh, cara, mi dispiace. Non hai digerito, ieri sera?"            
Ma che cosa glielo chiedo a fare? Perché questa sceneggiata ogni santa mattina?        
"Dovresti stare più attenta, mangiare in modo più sano ed equilibrato."     
"Ma io mangio sano, mamma!"        
Ma ci credi davvero? Elena, Amore mio, guarda come ti sei ridotta! Eri una così bella bambina!
Le osservo i rotoli di ciccia che escono dall'elastico dei pantaloni: sembra che in vita abbia un salvagente. Un suo braccio è pari a una mia coscia. Provo una stretta al cuore. Vorrei abbracciarla, stringerla forte, gridarle quanto la amo, farle sentire tutta la mia comprensione per la rabbia che ha dentro, per il dolore che le devasta l'anima, perché la mia bambina soffre, non so per cosa, ma soffre. Lo sento, sono sua madre.   
Vorrei poter parlare con lei, chiederle di aprirsi con me, confidarsi, dirmi quello che non va, ma ho paura di urtare la sua sensibilità, perché la mia Elena è una ragazzina molto sensibile. Toccare il tasto sbagliato, potrebbe essere pericoloso. Vorrei tanto portarla da uno psicologo, ma Glauco non è d'accordo, sostiene che siano problemi normali della crescita, che uno è in grado di superare da solo. Ne ha viste lui di ragazze di quell'età inciccionirsi, per poi dimagrire spontaneamente, dopo due o tre anni. E' lo sviluppo, dice. E certo, perché adesso un uomo ne sa più di una donna sullo sviluppo femminile! Lui poi, non ne parliamo! Lui sa sempre tutto. Intanto sta rovinando questi miei figli, col suo modo di fare. Davide è un ragazzo perso, smarrito anche lui chissà dove. Fuma, cerca lo sballo per sentirsi grande. Questo è quello che crede mio marito, ma io lo so che lo fa perché anche lui ha qualcosa che lo tormenta dentro, un tarlo che scava la sua anima.
Ecco, l'acqua bolle. Elena vi immerge la bustina del tè e attende cinque minuti.  
"Non me lo dai un bacio, Amore?" Le domando.    
Si avvicina, quasi sbuffando. Mi sfiora appena la guancia con le labbra. Almeno il giorno del mio compleanno potrebbe mostrarmi più affetto!        
"Ti voglio bene, Elena!" Le dico. Glielo dico spesso, perché voglio che non se ne dimentichi.     
Non si siede nemmeno per bere il suo tè, lo tracanna tutto d'un fiato.       
"Scappo, mamma, se no perdo il bus!"        
"Non vuoi che ti accompagni?"        
"No, preferisco prendere l'autobus". 
Esce di corsa, tirandosi dietro la porta. Da un po' di giorni preferisce andare a scuola con i mezzi. Si vede che sta crescendo e si vergogna a farsi vedere con sua madre dalle amiche. O forse c'è qualche ragazzo che le interessa e vuole fare la strada con lui. Quante delusioni la aspetteranno, se non cambierà aspetto e carattere! Già mi immagino i commenti dei ragazzi... Povera figlia mia! Credo che andrò io dallo psicologo, al posto suo. Gli parlerò, gli racconterò di lei e mi farò spiegare il modo in cui prenderla, come possa aiutarla. Per i soldi, chiederò un prestito a mia madre: non voglio che Glauco sappia che ci sono andata. Non sarebbe d'accordo e nascerebbero problemi. Certo, se poi lo specialista mi dicesse che necessitano più sedute... beh, allora sarei costretta a parlarne con lui.           
"Mamma, ho bisogno cinquanta euro". Eccolo, è Davide. Ancora in pigiama a quest'ora: farà tardi a lezione, come al solito.          
"Non si saluta nemmeno? Buongiorno!" Gli faccio notare. 
"Dai, mamma, sono in ritardo, dammi cinquanta!"  
"A che cosa ti servono?"       
"La gita. Oggi è l'ultimo giorno per la consegna."    
Ma perché si riduce sempre all'ultimo momento per chiedermi le cose? Quanto mi manda in bestia questo suo modo di fare! 
"Potrei non averli: non sono la Banca d'Italia" Battuta idiota e scontata, scontatissima! Lo diceva sempre anche mia madre, accidenti a me! Mi mordo la lingua. 
"Oh, ma', se non li hai, me li faccio prestare da qualche mio compagno."
Ah, certo, facciamo anche la figura dei pezzenti!   
"Ora guardo". Mi alzo da tavola e mi dirigo verso la credenza dell'ingresso. Apro il primo cassetto e controllo nella scatola dei biscotti, adibita a "cassaforte": due pezzi da venti. Torno da lui.          
"Ci sono solo questi. Devo passare dalla banca a prelevare."        
"Cazzo, mamma, sempre senza soldi, in questa casa!"     
"Davide, modera il linguaggio e vai a vestirti, che è tardi!"  
"Fanculo..." Esce dalla cucina, sbottando.   
"Non fai colazione?"  
"Non ho tempo."        
Non mi ha nemmeno fatto gli auguri...         
           
Oggi è lunedì e Glauco entra tardi, per cui ora è ancora a letto. Tra poco si alzerà anche lui. Sentirò la porta del bagno cigolare, lo sciacquone del water scrosciare, l'acqua del rubinetto scorrere a fiumi, mentre si laverà i denti. Poi sarà il momento dello scaldabagno: la fiammata dell'acqua calda della doccia che si apre. E, dopo una mezz'ora circa, farà il suo ingresso in cucina, tutto ben lavato, profumato, con i capelli ancora umidi, impiastricciati di gel e residui di sapone nelle orecchie. Mi chiederà di sistemargli il nodo della cravatta e si guarderà attorno, per vedere se c'è per caso (o per sbaglio) qualche novità per colazione, io accenderò il gas e metterò la caffettiera sul fuoco, mi siederò di fronte a lui e gli dirò: "Dormito bene, tesoro?"
"Buongiorno, cara!"   
Eccolo entrare in cucina, tutto bello in ordine. Solo io sono ancora in pigiama. Non ho proprio voglia di vestirmi, questa mattina. Ho già rifatto i letti dei ragazzi, sistemato la cucina, portata giù la spazzatura. Non ho avuto nemmeno la decenza di mettermi addosso una tuta e sono scesa per le scale in pigiama. Una volta non lo avrei mai fatto: sarei morta al solo pensiero di incontrare qualcuno ed essere sorpresa così, con i capelli arruffati dopo la notte, raccolti alla bell'e meglio con un mollettone, senza nemmeno avere lavato la faccia che sa ancora di sonno. Ho anche già pulito le verdure per il pranzo, affettato i pomodori e i cetrioli di fine stagione, probabilmente gli ultimi. In questo momento ho le mani unte, grasse di pelle di pollo: ci ho messo un po' a strappargliela di dosso. Non mi piace cucinare il pollo arrosto con la pelle, non la digerisco. A Davide, invece, piace un sacco, perché diventa croccante come le patatine dei sacchetti. Elena non la mangia.         
"Buongiorno!" Rispondo.       
Glauco mi si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia. "Auguri, tesoro!"    
"Grazie". Sorrido. Avrei scommesso che non se ne sarebbe ricordato subito.      
"Uhmm... profumino! Cosa stai cucinando?" Mi abbraccia in vita. Com'è che stamattina è così affettuoso? Non è proprio da lui. 
"Soffritto per il risotto" Rispondo. "Anzi, oggi fammi sapere di preciso per che ore arrivi, così preparo per tempo e non scuoce. Non c'è nulla di peggio del riso scotto."          
Si siede a tavola. Mi guarda, come a dire Ma il caffè? Non lo prepari? Sciacquo le mani sotto il getto dell'acqua calda e le asciugo nel grembiule. Perché non mi chiede se stasera non mi andrebbe di uscire a cena? Mi piacerebbe tanto!
"Buona scuola, Glauco!" Gli dico, mentre lo accompagno alla porta.        
"A più tardi"    
Prende la sua ventiquattrore di pelle ormai consunta ed esce.      
La casa è piombata nel silenzio più assoluto. Sono sola. Che cosa mi aspetta? Le solite pulizie, la spesa al minimarket all'angolo, giusto pane e latte, magari oggi uno strappo alla regola e prendo anche un ananas e pure una bottiglia di vino buono, di quelli che costano un po'. Poi di nuovo a casa, tra queste quattro mura mute. Potrei farmi un giro nelle cartelle di Glauco, a leggermi qualche relazione nuova... E se facessi un po' di ginnastica? Forse dovrei riprendere a fare un po' di moto. Devo avere ancora in giro quelle vecchie videocassette di Jane Fonda che dà lezioni di aerobica via cavo. Sto facendo una vita da reclusa. Esco solo per fare la spesa e andare a prendere i figli a scuola o dai compagni! Come invidio quelle donne emancipate che escono al mattino presto, per recarsi al lavoro, e rientrano stanche, ma soddisfatte di se stesse, sempre con qualche novità da raccontare. Io non racconto mai niente. Non ho nemmeno mai niente di cui lamentarmi, un capo che mi tormenti, ad esempio, oppure un incarico gravoso, un'assunzione di responsabilità. Niente. Mio marito e i miei figli tornano e mi riversano addosso la loro giornata. Io sono la spugna che assorbe quei fiumi di parole e non ho nulla da dire, però, se mi strizzassero, potrei restituire tutto quanto...         
C'è l'umido da portare di sotto: il sacchetto è già pieno di bucce di verdure, pelle di pollo e avanzi della sera prima. Ci sono anche le bottiglie di plastica: il sacco giallo strabocca, dietro la porta della cucina. Forse dovrei mettermi addosso una tuta... Ma no, dai, tanto prendo l'ascensore, due passi fuori dal portone e sono già allo sgabuzzino dei rifiuti.  
Lego i due sacchi, non metto nemmeno le scarpe, scendo direttamente in ciabatte. Chiamo l'ascensore. E' in questo momento che la porta dei vicini si apre. Oddio, no, che vergogna! La signora Roversi esce con i tre figli.         
"Buongiorno, Signora Carraro!"        
Vorrei scomparire, dissolvermi nell'umido del sacchetto che ho tra le mani. Lei è così bella, così elegante... i bambini così ordinati...
"Buongiorno" Rispondo a mezza voce. Prego che non prendano l'ascensore pure loro, mi sentirei in imbarazzo. Io non posso scendere cinque piani di scale con le ciabatte, il sacchetto dell'umido e quello delle bottiglie. Invece no, si fermano sul pianerottolo, davanti alla porta della cabina ascensore, e aspettano.            
"Aspetti, l'aiuto!" Mi dice la Roversi, con voce gentile, aprendomi la porta. "Prego, entri prima lei!"
"Grazie"         
La prossima volta mi laverò e mi vestirò, prima di mettere il naso fuori di casa.


  
II


Adoro abbandonarmi alla voluttà dell'acqua calda sulla pelle.        
Sono sdraiata nella vasca da bagno, piena fin quasi al bordo, avvolta da una soffice schiuma profumata di talco. Vedo emergere solo gli alluci. Chiudo gli occhi. Come sto bene in questo momento! Ho acceso la radio su un canale di musica italiana. La voce della Ruggiero sta cantando Per un'ora d'amore.       
Per un'ora d'amore non so cosa farei,         
per un'ora d'amore non so cosa darei         
Chiudo gli occhi, ti vorrei      
non nei sogni, ma così come sei      
...
Eh, sì... per un'ora d'amore non so cosa farei nemmeno io! Per un uomo che mi facesse sentire amata e che mi corteggiasse ancora, come il mio non fa più da troppo tempo! Oggi non mi ha nemmeno fatto il regalo di compleanno... Ormai per lui sono solo una vecchia ciabatta, logora e consunta, come quelle che indosso in casa. Chissà il marito della Roversi? Magari la riempie di attenzioni e di effusioni, la tratta come una regina, la fa sentire donna! Faranno ancora l'amore quei due? Che pensiero assurdo: certo che lo faranno! Io e Glauco non lo facciamo più da... oddio, da quando? Nemmeno me lo ricordo. Ma com'è che abbiamo smesso? Ora che ci penso, sono stata io a non cercarlo più oppure lui? O forse abbiamo smesso entrambi contemporaneamente?
Sono mesi ormai! A dire il vero, nemmeno ne sento più il desiderio. Ma che diamine, ho solo quarant'anni e mi sembro quasi mia nonna! Che vita grigia la mia! Ma è possibile cambiarla? E' possibile cambiare a quarant'anni? Perché no? Magari Glauco non è poi così rigido come vuole far credere di essere. Magari la sua è solo una questione di pigrizia mentale, di mancanza di voglia di mettere in atto un cambiamento. Magari... E se stasera provassi a parlargliene? Se gli dicessi che sono stanca di vivere così? Potrei tentare di sedurlo. Non ci ho mai pensato. Potrei mettermi quel vestito un po' sexy, quello nero, aderente; potrei truccarmi un po', mettere il profumo e poi a letto avvicinarmi al suo corpo, strusciarmi un po' addosso a lui... Avremo  anche bevuto del buon vino, quindi, magari, sarebbe  bendisposto. Perché no?
Esco dalla vasca dopo mezz'ora: ho la pelle cotta dall'acqua, i polpastrelli delle dita raggrinziti come quelli delle vecchie, ma mi sento bene, soprattutto perché ho deciso di volerci provare: proverò a dare una svolta a questo grigiore. Non voglio vivere altri quarant'anni così.   
Spalanco la finestra del bagno, per fare uscire il vapore che ha invaso tutto il locale. C'è odore di bosco che viene da fuori. Di bosco, di funghi, di autunno. La giornata è uggiosa, ma c'è una luce strana, quasi giallastra, che tinge l'aria di un sole nascosto chissà dove. La lascio entrare tutta nella mia casa e in me e la respiro a pieni polmoni: oggi è il giorno della mia nascita e sarà anche quello della mia rinascita.
Fatta la spesa al market, all'angolo della strada, rientro nel mio appartamento al quinto piano e svuoto il sacchetto, per riporre ogni cosa al suo posto. Ho comprato anche delle candele profumate per questa sera. Mi sento già meglio: funzionerà, lo sento. 
Decido di riordinare la stanza di Elena e quella di Davide: sembrano un campo di battaglia. Mi chiedo perché i miei figli siano così disordinati. Non c'è verso di fargli mettere a posto le cose. Libri sparsi sulla scrivania e per terra, accanto al letto, vestiti ammucchiati sulle sedie e persino sul calorifero, cd fuori dalle loro custodie. Elena ha lasciato aperto anche un cassetto della sua scrivania. Provo a chiuderlo, ma non riesco. Spingo di nuovo. Ci deve essere un impedimento fisico, forse qualche quaderno incastrato in fondo. Benedetta ragazza, che disordinata che sei! Infilo la mano nel cassetto: eccolo qui, l'ostacolo! Lo sento proprio sul fondo, sotto a tutte le altre cose. Tiro fuori tutto. Non è un quaderno come tutti gli altri: è un diario segreto, con tanto di lucchetto. Sorrido tra me e me: ne avevo uno simile anch'io, alla sua età. Non pensavo che Elena ne possedesse uno. Non la facevo il tipo da confidare ad un diario i propri segreti. Credevo che oggi non esistessero nemmeno più i diari, che i ragazzi affidassero le proprie confidenze al computer, ai messaggi privati su facebook con l'amica del cuore, a un diario virtuale. Invece no, è qui, concreto più che mai, tra le mie mani. Mi viene voglia di aprirlo e sbirciare tra i pensieri di mia figlia. Magari potrebbe aiutarmi a capire alcune cose di lei, potrei capire come aiutarla col cibo, prendere spunto per discuterne con Glauco o con lo psicologo, se mai dovessi andarci. Il lucchetto è chiuso, ovviamente. C'è una combinazione di numeri. Provo con la sua data di nascita: nulla. Data di nascita di suo fratello: nulla. Di suo padre, mia, dei nonni... Niente da fare! Mi siedo sul suo letto col diario tra le mani e penso. Quali numeri potrebbero essere importanti per lei? Ne provo un po', senza successo, poi mi balena l'idea della banalissima sequenza numerica: 1-2-3-4. Clic! Il lucchetto si apre. 
Che grafia contratta! Che tratto rigido, calcato! Quanta rabbia deve avere dentro?         
Pagine e pagine scritte ora con grafia piccola e quasi ordinata, ora a caratteri cubitali e sottolineati. Mi cade l'occhio su una parola in particolare. Impossibile non notarla, occupa mezza pagina: LA ODIO. Leggo.  
Mia madre è disgustosa, io la disprezzo. La disprezzo con tutte le mie forze e spero di non diventare mai come lei. E' una senza palle, sempre succube di mio padre, fa tutto quello che vuole lui, non ha il coraggio di essere se stessa, di dire davanti a lui quello che pensa. Mi dà sui nervi vederla sempre così servizievole con lui e anche con me e mio fratello. Sono sicura che tante volte vorrebbe mandarci al diavolo, ma non osa: ha paura di tutti noi. Credo che tema di perdere il nostro affetto, perché lei non ha niente, non è niente.        
Caro Diario, ti rendi conto che è laureata in lettere e fa la casalinga? Obbliga me e mio fratello a studiare per il nostro futuro, dice che lo studio ci consentirà di lavorare e di essere qualcuno nella società, di essere persone produttive. Ma si vede com'è lei? Si definisce una scrittrice... Mi fa solo ridere! Non ha mai pubblicato un solo libro. Una volta ho letto dal suo pc alcune pagine di un suo romanzo: una cagata mostruosa, pallosissimo! Ci credo che non le pubblichino mai niente, finché scrive certe stronzate!         
Mia madre è bella, molto bella, ma sa rendersi brutta. Non ha gusto nel vestire, non si trucca, ha i capelli grigi, già alla sua età, che la invecchiano un botto. Sembra la mia prof di matematica, solo che quella ha più gusto estetico di lei. Mi sta sulle palle quel suo essere sempre così perfettina nelle cose che fa. Secondo me si crede una grande. Non so che cosa me lo faccia pensare, ma sono certa che sia così.       
Odio quando mi dice che devo mangiare sano. Lei crede che io non abbia capito che lo fa perché mi vede grassa, ma io non sono stupida. Lo so che la mia ciccia le fa schifo. Lei non ha un grammo di troppo addosso, ha il fisico di una top model. La odio anche per questo. Vorrei avere io il suo ventre piatto, le sue gambe lunghe e magre, le sue braccia flessuose, le sue caviglie sottili, il suo sedere tondo, ma piccolo. Io invece ho un culo enorme. Mi faccio schifo, quando mi guardo allo specchio! SCHIFO SCHIFO SCHIFO!!! Hai capito, Diario??? Mi faccio SCHIFOOOOOOOOO!!! E' colpa sua, se sono così. Non è stata capace di trasmettermi il giusto valore del cibo, non mi ha mai consentito di praticare sport. Anche per questo non ho amici. Ed è tutta colpa sua. Sua, ma forse anche di quello stronzo di mio padre. Odio anche lui, però di meno, perché è un uomo e non è  nemmeno bello. Lui lo odio perché non mi lascia mai fare niente, perché non mi ha mai dato un bacio, mai fatta una carezza. Non mi ha nemmeno mai detto che mi vuole bene. Del resto penso che non ne voglia a nessuno, forse nemmeno a se stesso. E poi è un bastardo. L'ho beccato in auto con una, l'altro giorno: stavano limonando. Mette le corna a mia madre, poi ha il coraggio di tornare a casa e fare come se niente fosse. Chissà se lei lo sa? E' talmente sottona, che le andrebbe bene lo stesso. Sono sicura che, se lui dovesse dirglielo, lei lo perdonerebbe e magari lo supplicherebbe di non lasciarla e le starebbe pure bene che lui continuasse a vedere quell'altra.
...
Oh, mio Dio! Non ci posso credere! Lascio cadere il diario a terra. Ho il cuore che mi fa male, una fitta dolorosa al petto. Non può essere vero! Mi tremano le mani e anche le gambe. Vorrei urlare. Mi alzo a fatica e vado a prendere un bicchiere d'acqua. No, niente acqua: ho bisogno di qualcosa di forte. Apro la bottiglia di vino rosso, quattordici gradi, che ho comprato per questa sera e me ne verso un bicchiere colmo fino all'orlo. Lo bevo tutto d'un fiato, senza nemmeno gustarne il sapore. Mi devo stordire. Un grido strozzato mi esce dalla gola: sembra il rantolo di un animale sgozzato, l'urlo di un maiale che viene portato al macello.           
"Non è verooooooooo!!!" Grido con tutto il fiato che ho in corpo. Poi mi abbandono a un pianto disperato, lasciandomi cadere in ginocchio sul pavimento. Il mio corpo è scosso da violenti tremiti.           
Mi riprendo. Mi alzo e torno in camera di mia figlia. Mi siedo nuovamente sul letto e prendo in mano ancora quelle pagine maledette. Cerco il punto in cui avevo interrotto la lettura e riprendo a farmi male.         
...        
Una mia amica ha il padre con l'amante che vive in casa con loro. Che situazione assurda! La moglie non lo lascia andare, non gli concede la separazione e lui non vuole rinunciare all'altra donna, così se l'è portata a casa. Un casino, insomma! La mia amica va spesso a dormire da sua nonna, perché non sopporta di avere sempre quell'altra tra i piedi. Non credevo potessero esistere famiglie così. Se mia madre dovesse mai accettare una soluzione del genere, le sputerei in faccia. Mi domando come si possa vivere in quel modo! La madre della mia amica dorme sul divano, suo padre e la sua puttana nel letto matrimoniale. Ma ti pare? Anche no!        
La puttana di mio padre, invece, deve essere una sua collega. L'ho vista scendere dalla macchina con i libri in mano. Magari a scuola lo sanno tutti, magari i colleghi sparlano di mia madre e ridono di noi. Che vergogna! Che poi mi chiedo perché mai tradisca mia madre! L'altra non è bella. Ma devo riconoscere che ha un certo fascino. E poi è sicuramente una donna emancipata. Sarà sposata? Spero di sì, almeno non costringerà mio padre a lasciare la mamma.  Ho pensato di presentarmi  alla sua scuola, una mattina di queste, e dirle che li ho visti. Ma poi? E se invece lo dicessi a lui? No, meglio di no: troverebbe il modo di mettermi in castigo, direbbe che mi sono inventata tutto.   
...        
Una collega? Un'insegnante come lui? Non bella, ma emancipata e affascinante... Ma come ha potuto farmi questo? Proprio lui, quello che mi ha voluta donna di casa, madre e moglie a tempo pieno...     
Ecco perché non si fa più l'amore! Glauco ha un'altra. E andiamo a messa ogni domenica! Ma non si vergogna? Ma chi è veramente l'uomo che ho sposato?    
E se Elena avesse travisato? Se fosse davvero solo una collega cui lui ha innocentemente dato un passaggio? Magari lei lo ha baciato sulla guancia e a mia figlia è parso vederli baciarsi sulla bocca... A volte l'immaginazione degli adolescenti va ben oltre la realtà.        
No, Glauco non è il tipo da farsi l'amante. Ma certo, è Elena che ha frainteso, non può essere altrimenti! Che stupida che sono!       
Non voglio più leggere quelle cose, sono solo sfoghi di un'adolescente che ce l'ha col mondo, perché non si piace così com'è. Richiudo il diario col suo lucchetto e lo ripongo sul fondo del cassetto. E' tutto a posto, mi ripeto, tutto a posto.
Le 12.45. Inizio a preparare il pranzo. Tra poco saranno tutti qui e ci metteremo a tavola. E' quello che credo, finché non vibra il cellulare e mi avvisa che c'è un messaggio. E' di Glauco.      
SANDRA, MI DISPIACE, NON POSSO TORNARE A CASA A MANGIARE. CONSIGLIO DI CLASSE STRAORDINARIO. CI VEDIAMO NEL POMERIGGIO. CREDO CHE TORNERO' PER LE QUATTRO.     
Consiglio di classe straordinario? Proprio oggi, il giorno del mio compleanno?     
La puttana di mio padre, invece, deve essere una sua collega. L'ho vista scendere dalla macchina con i libri in mano. 
E se fosse vero? Guardo l'orologio sul muro della cucina: le 12.47 precise. Ho circa dieci minuti per raggiungere la scuola di mio marito e beccarlo mentre esce con quella.   
Tolgo il grembiule, spengo il gas, infilo il cappotto e gli stivali ed esco di corsa, scendendo i gradini due a due. Non chiudo nemmeno la porta. Chi se ne frega! 
Salgo in auto e metto in moto. Sgommo davanti al cancello e parto come una scheggia impazzita, destinazione liceo classico.         
E' l'ora  di punta, c'è un traffico bestiale, non arriverò mai in tempo.         
Una e cinque: una marea di studenti con gli zaini in spalla si riversa nella strada davanti al liceo. Le auto procedono a passo d'uomo.        
Porca vacca, così lo perderò di certo! Magari è già uscito. Signore, ti prego, fa' che lo veda! Fa' che lo becchi con quella!... Lo ammazzo! Giuro che lo ammazzo! Gli spacco il crick in testa. E poi ammazzo anche lei!  
Mi attacco al clacson e inizio a suonare. "Volete muovervi, accidenti!" Urlo. La gola mi brucia. Pesto i pugni sul volante. Vorrei piantare la macchina qui, scendere e andare a piedi.        
Eccolo! Eccolo là, che esce dal cortile! E' la sua auto quella! Mi agito sul sedile. E' da solo, non c'è nessuno con lui. Mi rilasso.      
Oddio, ma che cosa sto facendo? Sono impazzita? Mi metto a seguire mio marito sulla base del diario di una ragazzina complessata? Come ho potuto dubitare di lui? Glauco starà sicuramente andando al bar a prendere un panino. E i ragazzi? Staranno arrivando a casa e io non ci sono!
Alla prima rotonda faccio inversione di marcia a torno indietro.     
Il traffico si fa più scorrevole: finalmente le auto si incolonnano ordinatamente e si procede.     
Ma che fa? Accosta? Perché?        
Mi si gela il sangue. Sento un fuoco invadermi il cervello. Una donna si avvicina, apre la portiera e sale.
Li seguo a distanza. Non vanno al bar. Procedono lungo la provinciale. Rallentano.        
No, ti prego, no, non lì!          
Motel.
L'auto di Glauco fa il suo ingresso nel parcheggio, oltre il cancello.           
Il mio cuore ha una battuta di arresto. E' tutto vero, allora. Elena aveva visto giusto. Glauco mi tradisce, ha l'amante.           
Accosto al lato opposto della strada. Lo vedo scendere e dirigersi a piedi verso l'ingresso. Lei resta in macchina ad aspettare. Sicuramente starà andando a consegnare i documenti e a ritirare la chiave. Non posso restare un solo secondo di più. Rimetto in moto e parto. Pochi metri e  mi vedo costretta ad accostare: ho un dolore acuto alla bocca dello stomaco. Mi fermo, apro la portiera e vomito fuori tutto il mio dolore. Lo lascio lì, spiaccicato sull'asfalto.



III


"Scusatemi tanto, ragazzi! Ho dovuto fare una commissione urgente e ho fatto tardi!"    
Devo pur dire qualcosa a questi due figli che mi guardano esterrefatti, mentre faccio il mio ingresso in casa. Da quando sono nati, penso proprio sia la prima volta che non trovino il pranzo pronto.
"Papà?"          
"Ha una riunione a scuola, non torna."         
"Mamma, lo sai che hai lasciato la porta aperta?" Osserva Davide.          
"Davvero?... Che sbadata!"  
"Va tutto bene?" Mi guarda sospettoso.       
"Certo, tesoro, bene." Tolgo cappotto e stivali e mi rivesto dei panni della casalinga perfetta. "Coraggio, andate a lavarvi le mani, intanto apparecchio!"                      
"Non per me." Si affretta a specificare Elena. "Non ho fame."      
"Ma ho preparato il pollo come piace a te!" 
"Ti ho detto che non ho fame. Magari lo assaggio stasera."           
Perfetto! Ci metteremo a tavola solo io e Davide.   
Mangio con un magone pazzesco, un nodo alla gola, che faccio fatica a deglutire. Il cibo mi si ferma tutto all'ingresso dello stomaco, provocando un dolore acuto. Bevo vino, nella speranza che sciolga  nodo e blocco. Davide finge di non osservarmi, ma vedo che mi tiene d'occhio. Non osa fare domande. Devo avere gli occhi rossi e gonfi. Credo abbia capito che ho pianto.  
"Hai programmi per stasera?" Gli domando, per distrarlo dai suoi interrogativi muti. "Pensi di esserci per cena?"           
"Sì, perché?"  
"Forse te ne sei dimenticato," gli faccio notare "ma oggi è il mio compleanno e mi piacerebbe avere la famiglia riunita almeno a tavola."       
"Ah... auguri, ma'!"    
Eh, certo, è il massimo della sua espressione di gioia. Del resto ha ragione lui: che motivo c'è di festeggiare questo giorno?           
"Beh, io ho finito: vado di là." Si alza da tavola.       
"Niente frutta?"          
"No, ma', non ne ho voglia." 
Rumore di tv dal salotto: come al solito, compiti e studio dopo.     
Resto sola in cucina, sparecchio, avvolgo gli avanzi nella stagnola e li ripongo nel frigo. La bottiglia di vino è poco meno di metà: non credo di avere mai bevuto così tanto in un solo pasto.
Glauco, sei uno stronzo!... I soldi dell'eredità non si toccano, servono per pagare il mutuo. Che cretina sono stata! Non ho mai controllato, mai verificato i movimenti in  banca. Ho lasciato che se ne occupasse sempre lui. Quanto può costare la stanza di un Motel? Quante volte alla settimana ci andrà? Una, due o forse di più? Ecco dove vanno a finire i nostri soldi! E io stupida, che rinuncio a tutto per me stessa! Fanculo, Glauco! Oggi andrò dal parrucchiere e tingerò i capelli. E da domani cercherò un lavoro. Mio marito non merita la mia devozione, non merita i miei sacrifici, le mie rinunce. NON MERITA ME. Ho buttato via la mia vita al suo fianco, mi sono lasciata schiacciare, privare dei miei sogni, delle mie ambizioni. E tutto per che cosa? Per essere qui a vivere di depressioni quotidiane, con una figlia che mi disprezza per quella che sono, un figlio che nemmeno si ricorda del mio compleanno e uno stronzo di marito che mi mette le corna! E' il momento di prendere in mano la mia vita: lo devo a me stessa. Questa volta, giuro che lo faccio! E incomincio proprio da oggi, dai miei quarant'anni.
Prendo le pagine gialle e scorro l'elenco dei parrucchieri del centro. Ne voglio uno bravo. Una vita ad andare dalla stessa parrucchiera, una bravina, ma, quanto a estro, ha lasciato sempre a desiderare: sempre lo stesso taglio, la stessa piega. Mi stupisco di quanti hair stylist ci siano in città. Non so quale scegliere. Vado a caso, basandomi sul nome. Colpi di Testa: mi sembra buono, suona bene. Chiamo e fisso l'appuntamento: lo voglio assolutamente per oggi. Se questo non può, ne chiamerò un altro. Può. "Alle quattro può andarle bene?" Mi chiede. Benissimo.
"Ragazzi, io esco. Torno verso le sei."         
Li ho sorpresi, lo so. Quando mai mi hanno sentita dire Io esco? Al massimo Ragazzi, vado a fare la spesa.



*



"Come li facciamo?" La ragazza mi ha messo addosso la mantellina di plastica colorata, col logo del negozio.
"Avrebbe un catalogo per i tagli e i colori?"  
"Certamente!"
Torna poco dopo con due album. "Lunghi o corti?" 
Mi guardo allo specchio: i miei sono alle spalle. L'idea di accorciarli mi dispiace tantissimo, ma, se devo dare un taglio al mio passato, meglio che sia evidente. "Corti." Rispondo.  
"Allora le lascio questo catalogo." Me lo porge e appoggia l'altro su una mensola.           
Inizio a sfogliarlo, intanto la ragazza mi porta i campioni dei colori.
"Preferisce andare su un colore caldo o freddo? Scuro o chiaro? Uniforme o con nuance?"     
Quanta roba per cambiare una testa! Non lo so. Troppe domande in una volta sola.       
"Lei che cosa mi consiglia?" 
"Vista la carnagione e il colore degli occhi, io starei su un colore piuttosto caldo, non troppo scuro, perché marca troppo i lineamenti e indurisce il viso . Direi un castano ramato." Me lo mostra.   
Mi piace.
Oh mio Dio, non ci posso credere! Ma sono proprio io questa? Capelli corti col ciuffone, rossi. Mi trovo bellissima. Sembro un'altra donna, molto più giovane e molto molto più bella e interessante. Ma dove sono stata nascosta finora? Pago ed esco soddisfatta. Il nuovo aspetto mi fa sentire più sicura di me stessa. Cammino per le vie del centro, godendomi le occhiate dei passanti.            
E ora, il guardaroba! Ho intenzione di rinnovarlo: voglio degli abiti che mettano in mostra il mio corpo, che lo valorizzino, che finalmente mi rendano giustizia. Basta queste gonne a metà polpaccio, larghe, informi, che non si usano nemmeno più da almeno dieci anni! Basta maglioni larghi, basta tacchi bassi. Sono una donna con un bel corpo (questo me lo ha riconosciuto anche mia figlia): non voglio più nasconderlo dentro a questi abiti informi.           
Stefanel, un po' caro, ma c'è bella roba ed è comunque accessibile al mio portafoglio. Userò la carta di credito di Glauco: se può permettersi il Motel, potrà permettersi anche di vestire sua moglie.        
Shopping selvaggio. Ho comprato tre completi, quattro gonne, quattro maglie, due camicette, due paia di pantaloni, una giaccone col collo in pelo e persino due paia di scarpe col tacco dodici! Ho già indosso un completo di quelli nuovi e le scarpe, quelle di vernice nera. Ah, sì, ho acquistato anche una borsa!
Attraverso il corso centrale della città, avanzando con passo fiero, i pacchi in mano, i vecchi vestiti sul fondo. Cammino, specchiandomi nelle vetrine dei negozi: la mia figura è slanciata, sinuosa, elegante. Sono una donna colta, istruita, intelligente e adesso anche bella. Basta nascondermi, voglio vivere in pieno la mia trasformazione da bruco a farfalla.
Sono quasi le 19, quando apro la porta di casa.      
"Sono tornata!" Annuncio a voce piena, per farmi sentire.
I ragazzi sono nelle loro stanze, Glauco in sala, sul divano, davanti alla tv accesa. Come mi sente entrare, si volta verso di me, ma ancora non riesce a vedermi, perché sono coperta dal mobile dell'ingresso.    
"Dove sei stata tutto il pomeriggio, Sandra? Ti ho mandato almeno una decina di messaggi e tu non hai risposto."           
Con che coraggio me lo chiedi, stronzo?     
"Avevo dimenticato il cellulare in macchina." Rispondo. "Sono stata a prendermi il regalo per il mio compleanno."           
La sagoma di Glauco si staglia sulla porta della sala. Ha un sussulto. "Sandra!" Esclama, non appena mi vede.           
"Sì?" Lo guardo con aria trionfante. "Che c'è?"       
"Ma che hai fatto?"    
"Ho semplicemente cambiato look."
Elena sente dalla sua camera e si precipita all'ingresso. "Mamma!" Esclama.     
"Perché siete tutti così sorpresi?" Domando io.       
Ho gli occhi puntati su di me e mi godo lo spettacolo delle loro espressioni stupefatte. Sono ammirati, sicuramente, ma non lo vogliono ammettere.        
"Cosa c'è in quei sacchetti?" Domanda Glauco.     
Li depongo a terra, sul tappeto. "Vestiti. Per me." Rispondo.          
"Sei impazzita? Avrai speso una cifra!"       
"I soldi ci sono, Glauco. Non vedo perché tenerli in banca e non spenderli."        
"Sandra!... Non ti riconosco più! Ma cosa ti è successo?"  
"Nulla. Ho solo deciso che sono stanca di vivere come ho fatto finora. Si vive una volta sola, no? Perché non concedersi quello che si può? I soldi non ci mancano. E sono fatti per essere spesi."
"Sì, ma non per essere sprecati." Osserva lui.        
Sprecati? Quelli che spendi per me sarebbero sprecati? A te, invece, non fai mancare proprio niente, vero?   
"Non sono uno spreco, caro, ma un investimento."
"Ma che stai dicendo? Investimento in che cosa?" 
"In serenità, in stima di me stessa, in benessere interiore." 
Elena è come impietrita. "Mamma, che cosa ti sei fumata?"         
"Davide, vuoi venire anche tu a salutarmi e dire la tua sul mio nuovo aspetto?" Domando in direzione della sua camera.         
Esce dal suo letargo e mi raggiunge. Non manca più nessuno all'appello.
"Beh, che cosa mi dici?" Domando, fissandolo.      
"Sei figa!" Lo dice senza scomporsi, nessuna espressione di stupore. "Hai fatto bene." Aggiunge.
Bene, almeno uno che approva!      
"Ok, ora che avete espresso le vostre opinioni, che cosa ne dite i metterci a tavola? La cena è in frigo già pronta. Il tempo di apparecchiare e si mangia."          
Glauco mi prende per un braccio. "Io e te, dopo, dobbiamo parlare." Mi bisbiglia all'orecchio. "Non mi è piaciuta questa tua iniziativa. Hai fatto tutto di testa tua, senza nemmeno consultarti con me. I soldi sono di famiglia, non sono solo tuoi, ricordalo! Siamo sempre stati d'accordo su questo, mi pare. Proprio non capisco che cosa ti sia preso. Sembri un'altra persona."      
"Forse lo sono." Sibilo a denti stretti. "Per quanto riguarda i soldi di famiglia... non ti preoccupare: ho deciso che da domani cerco lavoro." Mi libero dalla sua stretta e lo lascio lì, al centro dell'ingresso, come uno stoccafisso.


(Tratto dal mio romanzo VOLEVO SOLO ESSERE FELICE)

Nessun commento:

Posta un commento