lunedì 23 dicembre 2013

Recensioni al racconto LA CHIESA

Un grazie sentito a Carlo Alfieri per la recensione al mio racconto "La Chiesa", pubblicata nel suo sito:
http://www.carloalfieri.com/recensioni-prefazioni/

Un sentito grazie va anche a Maurizio Gilardi per la sua recensione, pubblicata nella pagina dell'associazione culturale "Il Circolo della Trama".


da Giallolago - "La chiesa" di Laura Veroni. 

A volte mi domando come si fa ad assegnare un premio speciale a questo o quel racconto. "La chiesa" ha vinto il premio Brizio per la miglior scrittura femminile e una volta tanto non mi sono posto la solita domanda: lo ha vinto perchè è scritto bene con uno stile molto raffinato, parole equlibrate e punteggiatura perfetta. Laura è un talento. 

[...]
"La chiesa" è un racconto ben articolato, con una discreta dose di atmosfera più intima che generale, più morbosa che noir, più seducente che affascinante. Si legge con attenzione, pochi personaggi, poche situazioni contorte, un racconto intenso e per certi versi geniale nel quale spicca in modo evidente la femminilità. I dettagli, lo testimoniano. Unica leggera pecca: il finale è un po' prevedibile per chi ha letto racconti da tutta la vita. Brava, anzi, bella e brava. Il futuro non può essere che suo. Leggetelo anche voi e mi direte se ho esagerato con i complimenti, ma so già che sono tutti meritati.     


Maurizio Gilardi per Il Circolo della Trama.


A entrambi, davvero GRAZIE! 


domenica 8 dicembre 2013

GIOVANI FRAGILI




Riflettevo giusto in questi giorni sulla fragilità dei nostri ragazzi. Lo facevo come insegnante e come madre, cercando di capire, confrontando questa generazione con quella che è la mia e con quella precedente dei miei genitori. E forse la risposta al perché i ragazzi di oggi siano così fragili, rispetto a quelli di un tempo, c'è e risiede proprio nei "tempi".
Ci sono mamme che piangono, nel ricevere dalla scuola una lettera di convocazione per i propri figli (chi per la disciplina, chi per la didattica, chi per entrambe), ce ne sono altre che arrivano agguerrite contro gli insegnanti in difesa dei propri figli, perché non sono quelli che vengono descritti nella lettera, cioè poco corretti, ce ne sono altre che si disperano per un quattro e che pensano "Oddio, mio figlio è perduto!". Mamme, ma ovviamente anche papà.    
E penso a quando andavo a scuola io, a quando io era una bambina di quelle che una volta si chiamavano elementari e una ragazzina delle medie o una ragazza delle superiori. Mia madre non si è mai presentata ad un solo colloquio con le maestre o con i professori. Qualcuno penserà che non si interessasse di me, ma non è così. Erano tempi diversi, c'era meno coinvolgimento delle famiglie nella scuola e questa era meno vissuta come un affare di tutta la famiglia: era affare dello studente, punto e basta. L'insegnante aveva sempre ragione. Hai preso 4? Si vede che te lo meritavi! Hai preso una nota disciplinare? La prossima volta ti comporterai in modo da non  prenderla. Insomma, erano affari miei, non loro (dei miei genitori). Mia madre è cresciuta in orfanotrofio, orfana di guerra: suo padre era stato ucciso quando lei aveva solo tre anni e non lo aveva forse nemmeno mai visto; mia nonna aveva quattro figli a cui badare da sola ed era senza lavoro, per cui non aveva avuto altra scelta che di allontanare i figli più piccoli da casa. Erano tempi molto duri, in cui si mangiava polenta quasi tutti i giorni, perché costava poco, ma soprattutto perché riempiva tanto e non si sentivano i morsi della fame. Erano tempi in cui si badava a sopravvivere: non c'era il riscaldamento nelle case, ma le stufe a legna o a carbone (ricordo ancora quella in casa di mia nonna, con la grata attraverso la quale osservavo i tizzoni ardenti), non c'erano nemmeno i gabinetti (il bagno era una turca sul pianerottolo, una sola per un'intera palazzina, mezza diroccata, senza luce, senza finestra, senza carta igienica,ma con fogli di giornale su una mensola per potersi pulire. La doccia? Nemmeno a parlarne! C'era un semplice catino in casa, con acqua gelata che mia nonna scaldava in un pentolone sul fuoco per potersi lavare a pezzi). Sembrano cose così lontane nel tempo, invece parlo di nemmeno cinquant'anni fa...  
I ragazzi di oggi hanno tutto, ma proprio tutto: basta chiedere ed è loro concesso. La mia generazione chiedeva e le concessioni avvenivano con "calma", quella di mia madre chiedeva e le concessioni non venivano affatto. I ragazzi di oggi sono in crisi, sono depressi, non sanno che cosa significhi l'attesa di qualcosa, hanno tutto e subito; la mia generazione sapeva aspettare e per questo sapeva apprezzare quello che arrivava; quella di mia madre non aspettava nemmeno e nemmeno chiedeva, tanto sapeva che non sarebbe arrivato nulla. I ragazzi di oggi hanno una vita frenetica, agiata, comoda, facile; ai miei tempi non c'era fretta, gli agi erano pochi, le comodità pure e dovevi conquistarti le cose; ai tempi di mia madre la vita non era nemmeno vita. I ragazzi di oggi hanno amore e affetto totali, ma spesso frettolosi, perché i genitori moderni hanno sempre meno tempo da dedicare loro, soprattutto sempre meno tempo per ascoltarli; i ragazzi dei miei tempi avevano amore e affetto non dispensato a pillole o a tempo, ma pieno (e in questo credo che la mia sia stata la generazione più "fortunata"); i ragazzi del tempo di mia madre non hanno nemmeno avuto modo di percepire l'amore dei genitori, tutti presi dalla sopravvivenza e dalla praticità quotidiana (l'affetto e le coccole non trovavano spazio all'interno di una vita dura, alla ricerca della pagnotta con cui sfamare le bocche dei propri figli).
I genitori di una volta erano meno protettivi e i figli di una volta erano meno "mammoni". Ci si doveva "sbranare" da soli. Mia madre è cresciuta imparando con la fatica e col sudore a stare in piedi con le proprie gambe, senza appoggiarsi a nessuno (ricorda ancora come un incubo la propria infanzia e l'adolescenza in orfanotrofio); io mi sono sempre dovuta arrangiare a scuola, non ho mai ricevuto aiuti, nemmeno dai miei genitori, se non riuscivo a fare un compito o a studiare qualcosa (i miei avevano solo la licenza elementare, perché in tempo di guerra l'istruzione si fermava lì per molti), le lezioni private costavano troppo e non erano alla portata di tutti. Eravamo meno "viziati" e meno "protetti", ci davamo da fare per risolvere da soli i nostri problemi sia scolastici che di relazione con gli amici e non. Oggi è tutto diverso: noi genitori (mi ci metto anche io) siamo troppo protettivi e tendiamo a vivere la vita dei nostri figli al posto loro. Forse perché ci è mancato a nostra volta, forse perché avremmo voluto che i nostri genitori ci supportassero di più o forse anche perché ci sentiamo in colpa nei confronti dei nostri ragazzi, per il  troppo poco tempo che dedichiamo loro, tutti presi come siamo dalla vita frenetica che conduciamo. Ecco, allora, che li accompagniamo a scuola in macchina, a volte fin dentro il cancello e, se potessimo, persino fino in classe (perché no?), ecco che ci facciamo carico dei loro problemi, delle loro sconfitte, delle loro difficoltà che facciamo nostre e che viviamo al posto loro. E' qui il problema, a parer mio: noi genitori di oggi viviamo al posto dei nostri figli la loro vita e non gli permettiamo di crescere e di divenire autonomi e adulti. E i ragazzi crescono sempre più fragili e vulnerabili, non accettano le sconfitte, non sono in grado di sopportare le frustrazioni, non sono capaci di aspettare e crollano davanti a un voto negativo, identificando se stessi con la valutazione, anziché capire che il voto è legato alla prestazione, non alla loro persona, non accettano la nota, il richiamo, perché demolisce la loro autostima (fatta di cosa?), si fanno del male fisico e psichico, adottando comportamenti devianti, si ammalano di anoressia o di bulimia, non capiscono più il valore della vita, nemmeno sono più in grado di cogliere quelli che sono i valori, nonostante la scuola cerchi di insegnarglielo. Si abbattono e addirittura si sentono distrutti se un compagno li prende in giro o li apostrofa in un certo modo, non sanno reagire alle prese in giro, agli atti di bullismo, che esistono da sempre, e arrivano addirittura (a volte) a pensare al suicidio. Di fronte a certe cose, poi, i genitori intervengono dando troppo peso a ciò che magari si sgonfierebbero da sé e la crisi dei figli aumenta.   
Penso a quando ero bambina io... mi sono venuti in mente alcuni episodi di bullismo che ho subito. Alle elementari avevo due compagni maschi che mi perseguitavano e che mi picchiavano. Uno di loro si divertiva a spintonarmi e farmi gli sgambetti fuori da scuola, per farmi cadere. Tornavo spesso a casa con le ginocchia sbucciate. L'altro mi aspettava sulla scale di casa, quelle esterne (abitavo in un condominio per arrivare al quale bisognava percorrere una lunga scalinata in pietra) e lì, mentre rientravo con la cartella in spalla, mi faceva cadere, spintonandomi e prendendomi poi a calci (non ho mai capito perché). Non ho più rivisto quei miei compagni, ma ricordo ancora perfettamente i loro nomi e cognomi. Provavo una frustrazione indicibile e vivevo la cosa come un'ingiustizia. Non c'era nessuno a difendermi. Ne ho parlato forse una volta sola con i miei genitori, anche perché mi vedevano tornare a casa con le ginocchia sbucciate. "Impara a difenderti, svegliati!" Questo era il messaggio. Avevo anche un'amica che, gelosissima di me, non so per quale motivo, faceva di tutto per umiliarmi davanti alle altre amiche e anche davanti alla maestra. Anche di lei ricordo bene il nome ancora oggi, nonostante fosse straniera, con un cognome impronunciabile, e nonostante sia tornata al suo paese, dopo le elementari e non l'abbia più vista.  Ho imparato a gestire la mia frustrazione da sola. I ragazzi di oggi, invece no, non sono in grado di farlo, né possono farcela, finché trovano noi che lo facciamo al posto loro.